Politica Interna
Condono, caccia al compromesso. I veleni non si fermano. Salvini: Di Maio sapeva, non passo per scemo. La replica di Di Maio: non sono bugiardo. Al pasticcio del condono si troverà forse rimedio nel Consiglio dei ministri convocato per le ore
13. Di Maio cercherà di far sparire dal decreto fiscale la depenalizzazione dei reati di auto-riciclaggio, e Salvini (che malvolentieri calerà a Roma) pare disposto ad accettare qualche rettifica. Ma è presto per affermare che i due troveranno la quadra e,
soprattutto, che torneranno amici come prima. Al momento permane un clima pessimo, di cui sono dimostrazione gli sfoghi via Facebook dei due protagonisti, con il premier preso tra i due fuochi e quasi commuovente nel suo sforzo di chiarire il giallo della
«manina» (che avrebbe cambiato di soppiatto il decreto) senza incolpare nessuno. Commedia degli equivoci In una puntigliosa ricostruzione, Conte certifica che l’accordo sul condono era stato raggiunto solo un attimo prima di approvare il decreto fiscale, dunque
non c’era stato materialmente il tempo di «redigere» l’articolo 9, quello sul condono. Di Maio aveva verbalizzato la discussione in sede di governo, è vero, ma senza poter controllare i dettagli; sbagliato accusarlo di non aver capito che cosa si stesse approvando.
Vuol dire allora che a fare il furbo è stato Salvini? L’«avvocato del popolo» cerca di salvare capra e cavoli, perciò nega anche questo. Pur di chiudere l’incidente, Conte se ne prenderebbe perfino la responsabilità. Peccato che i primi a non crederci siano
proprio i vice-premier che ieri se ne sono dette di santa ragione. Evidente l’ira di Salvini dalle sue parole: «Noi facciamo riunioni su riunioni, arriviamo a saldi sostenibili, con grande lavoro mettiamo a punto il decreto e tutti lo approvano. A quel punto,
io vado a Mosca al convegno di Confindustria. Addirittura, il povero Conte, un galantuomo a cui va tutta la mia stima, è a Bruxelles a difendere la manovra da quelli che ci vogliono male. Proprio nello stesso momento, c’è qualcuno che va in televisione a parlare
di manine misteriose, a dire che sulla manovra c’è il trucco, che andrà in Procura… II problema è che intanto lo spread va a 340».
Elezioni in Trentino e Alto Adige. «Domenica si vota per salvare l’autonomia speciale, che nel dopoguerra ha garantito pace e sviluppo sia in Alto Adige che in Trentino. Ma è chiaro che dal risultato, in una terra che fonde l’Italia con il
resto dell’Europa, dipende il futuro di tutti, sia a Roma che a Bruxelles». Il governatore sudtirolese Arno Kompatscher teme che lo tsunami sovranista possa travolgere anche l’Svp, partito autonomista che fino a marzo, dai tempi di Prodi e Ciampi, ha condiviso
il potere con Pd e centrosinistra. Per la prima volta dopo il 1945 le destre di lingua italiana e tedesca, secondo i sondaggi, sono a un passo dall’entrare al governo a Bolzano e dal conquistarlo a Trento. L’«incubo padanizzazione» delle Dolomiti, non più
argine contro i populismi che dichiarano di «voler demolire la Ue», scuote però soprattutto il Trentino. Qui, primo trampolino di Benito Mussolini e culla di Alcide De Gasperi, tiene il patto delle destre di Salvini e Berlusconi: certe di «spazzare via le
macerie» di autonomisti e Pd, divisi dal braccio di ferro sulla ricandidatura del presidente uscente Ugo Rossi. Anche a Trento, dopo oltre settant’anni, il sottosegretario leghista Maurizio Fugatti si appresta a riportare la destra alla guida dell’ultima regione
del Nordest rimasta fuori dall’orbita salviniana, allargata alla Lombardia. «Non toccheremo i diritti inseriti nella Costituzione – assicura – ma è ora di fare pulizia anche qui». E anche Berlusconi ormai è di casa in Alto Adige. Michaela Biancofiore, coordinatrice
azzurra in Alto Adige, l’ha riportato in città. L’ultimo giorno di campagna elettorale per le elezioni provinciali è stata una festa per Silvio Berlusconi. Che però resta «molto, molto, molto preoccupato» per quello che sta succedendo a Roma: lo scandisce
tre volte. «Sento pericoli per la nostra libertà» – dice il Cavaliere -. «Avverto un’atmosfera molto pesante nella quale cominciano a essere a rischio le nostre libertà oltre che il nostro benessere. Loro dicono di ispirarsi allo Stato etico, che è quello
che sceglie al posto dei cittadini ciò che è bene e ciò che è male per loro. E la negazione della libertà, è l’anticamera della dittatura».
Politica Estera
La conferenza a Palermo per l’unità in Libia. Con il fiato sul collo di una scadenza ormai alle porte, i lavori per la conferenza di Palermo sulla Libia vanno avanti senza sosta. Con molte incognite livello delle presenze assicurate; risultato
finale; capacità di incidere sul futuro prossimo della nazione libica tuttora divisa e lacerata. A meno di sorprese dell’ultima ora è ormai escluso un rinvio dell’appuntamento previsto per il 12 e 13 novembre. Il prefetto Antonella De Miro e il questore Renato
Cortese stanno definendo i piani operativi: il modello è il G7 di Taormina di maggio 2017, furono impiegate circa 8mila unità delle forze di polizia. Per il vertice sulla Libia 4 sono i temi stabiliti: politica, sicurezza, economia e società civile. Certo
non con la stessa importanza. L’obiettivo della stabilità, con le soluzioni a guerriglie e conflitti tra fazioni, milizie e forze governative, fino a raggiungere un livello sufficiente di ordine pubblico, è considerato da Roma prerequisito irrinunciabile.
Una garanzia, in altre parole, per il processo politico di riunificazione con la definizione di una Costituzione e di una legge elettorale indispensabili per andare alle urne. Passaggio obbligato, insomma, sarebbe un’intesa tra i libici verso forze di sicurezza
e forze armate a guida unica prima di prospettare sviluppi su un piano politico-istituzionale più alto. Oltre al consolidamento della Noc (National Oil Corporation) e della Banca centrale unificata, discussi nel dossier «economia» della conferenza. Per alcuni
osservatori qualificati questo non è un obiettivo politico ma la strategia dell’Esecutivo punta invece proprio sulla sicurezza in Libia. E Stephanie Williams, già incaricata d’affari dell’ambasciata Usa in Libia, nominata a luglio da Antonio Guterres vice
di Ghassan Salamé alla guida della missione Onu nel Paese maghrebino (Unsmil), rilancia l’importanza della conferenza di Palermo, frena sulle elezioni a dicembre e sfida i politici attaccati alle poltrone di Tobruk e a Tripoli.«Noi vediamo la conferenza di
Palermo come la piattaforma più opportuna per incoraggiare tutti gli attori libici ad assumere un atteggiamento costruttivo, in particolare su sicurezza ed economia. Ci auguriamo che la conferenza cementi il consenso internazionale attorno alla Libia».
La Corte europea boccia le nomine dei giudici in Polonia. A due giorni da una consultazione elettorale in Polonia, la Corte europea di Giustizia ha deciso di chiedere la sospensione provvisoria ma immediata di una controversa riforma della
Corte suprema polacca. Tra le altre cose, il pacchetto di misure entrato in vigore a Varsavia prevede di ridurre l’età di pensionamento dei giudici del tribunale a 65 anni, una scelta che ha indotto la Commissione europea ad aprire una procedura di infrazione
e di a dire la magistratura comunitaria. Da mesi ormai l’esecutivo comunitario è impegnato in un braccio di ferro con il governo polacco, a cui rimprovera violazioni dello stato di diritto. La riforma della Corte suprema è uno dei tanti aspetti di una controversa
riforma dell’apparato giudiziario. La riduzione dell’età pensionabile da 70 a 65 anni è stata criticata da molti. Nella sua ordinanza pubblicata ieri in Lussemburgo, la vice presidente della Corte, Rosario Silva de Lapuerta, ha deciso di chiedere a Varsavia
la sospensione di alcune delle misure, in particolare quella sull’età pensionabile. Se la Corte riterrà le norme polacche compatibili con l’ordinamento europeo, esse subiranno solo un ritardo nell’applicazione. Ma se verranno annullate perché incompatibili,
la loro applicazione ora metterebbe a rischio i valori e i principi sanciti dall’articolo 2 del Trattato sull’Ue. La Corte tutela così il diritto di tutti i cittadini europei, in primis i polacchi, a essere giudicati in un processo equo da una magistratura
indipendente in tutta l’Ue. È una mossa temuta dal governo polacco, che aveva appena chiesto alla sua “nuova” Corte suprema di dichiarare illegittima la possibilità per i giudici polacchi di chiedere alla Corte di giustizia dell’Ue di esprimersi preliminarmente
su questioni relative al diritto europeo.
Economia e Finanza
Moody’s boccia la manovra. È arrivato ieri a tarda sera il primo verdetto delle agenzie di rating sull’Italia dopo la manovra 2019: Moody’s ha abbassato il giudizio sul debito sovrano a Baa3, ultimo gradino prima del livello «spazzatura», mentre
l’outlook diventa stabile. Lunedì si vedrà come reagiranno gli investitori, che ieri hanno dato un assaggio del nervosismo che agita i mercati, facendo volare lo spread, in mattinata, fino a quota 340 punti, ai massimi dall’aprile 2013. Salvo la retromarcia
a fine seduta, dopo l’intervento tranquillizzante del vice premier Salvini che, escludendo una crisi di governo, ha raffreddato lo spread e azzerato le perdite in Borsa. Il deterioramento delle finanze pubbliche a causa dell’aumento del deficit nei prossimi
anni, rispetto a quanto atteso, farà probabilmente stabilizzare il rapporto tra debito e Pil vicino all’attuale 130% negli anni a venire, invece di cominciare a ridurlo, spiega Moody’s. Inoltre le prospettive di crescita più debole potrebbero fare ulteriormente
aumentare il debito dal suo livello già elevato. Ma l’agenzia è anche preoccupata dall’assenza di un’agenda di riforme coerenti per allineare la crescita italiana a quella degli altri Paesi in modo sostenibile. Finora l’Italia ha beneficiato di un rialzo temporaneo,
legato a una politica fiscale espansionistica, ma la crescita ricadrà nel trend abituale di un aumento intorno all’1%, teme Moody’s. Perfino nel breve termine lo stimolo fiscale offrirà una spinta più limitata di quanto stima il governo. Allarme dell’Abi:
la crescita dello spread «peggiora le prospettive dei conti pubblici, complica le attività produttive e gli investimenti di famiglie e imprese» ha detto il presidente Patuelli, che auspica «un più costruttivo confronto fra autorità italiane ed europee». E
Fitch avverte: con il downgrade del rating dell’Italia probabile taglio anche per 5 banche: Intesa, UniCredit, Credem, Mediobanca e Bnl.
Bankitalia: Pil in frenata nel 3° trimestre. Nel terzo trimestre l’economia italiana non dovrebbe andare oltre un +0,1%, ancora in rallentamento dunque rispetto al +0,3% dei primi 90 giorni dell’anno e +0,2% del secondo trimestre. Lo dicono
gli indicatori congiunturali disponibili al momento della pubblicazione del Bollettino economico di Bankitalia. Nei primi 8 mesi – si legge però nel Bollettino – gli investitori non residenti hanno ridotto le loro consistenze di titoli in portafoglio italiani
di 42,8 miliardi: i disinvestimenti hanno riguardato soprattutto i titoli pubblici (24,9 miliardi) e le obbligazioni bancarie (12,4 miliardi), ora nel mirino di mercati finanziari ribassisti. Se le condizioni reddituali e patrimoniali delle banche sono «significativamente
migliorate», sia i corsi azionari sia i premi per il rischio sui titoli obbligazionari «hanno risentito delle tensioni sui mercati finanziari italiani, connesse con l’incertezza degli investitori sull’orientamento delle politiche economiche». «I dati attuali
ci dicono che da maggio ad agosto ci sono stati dall’estero deflussi netti sui titoli di Stato per 67 miliardi, grosso modo il 10% dello stock di Bot e Btp detenuti all’estero – sottolinea Chiara Cremonesi, strategist del reddito fisso per Unicredit – a settembre
non dovrebbero esserci stati altri deflussi, come suggerito dai dati della Bce (Target2); ad ottobre il mercato è stato volatile, probabilmente c’è stato un ulteriore aggiustamento delle posizioni». Magari così si è toccato il fondo: «Dovesse esserci un miglioramento
del quadro politico o una revisione del rating modesta questo potrebbe portare un po’ di sollievo», aggiunge Cremonesi. La chiave di tutto, infatti, resta politica, anche perché i fondamentali dell’economia oggi sono migliori rispetto all’altra grande crisi,
quella del 2011.