Politica interna
Il caso Roma agita la base M5S. «Ci sono incursori, detrattori, infiltrati pronti a denigrarci e a dileggiare la nostra proattività». Claudio, uno degli organizzatori, giustifica così la blindatura dell’atteso meet up romano, che rischiava di trasformarsi in un processo pubblico alla sindaca Virginia Raggi e che invece è stato sterilizzato, trasformandosi in un convegno tecnico su piattaforme e forum free. Ma nella base il malcontento cresce e più di uno evidenzia lo scollamento con gli eletti. I 5 Stelle si sentono sotto attacco e la sindrome dell’assedio imperversa, a tutti i livelli. Di fronte a errori e difficoltà, la reazione è quella di chiudersi a riccio, accusando la stampa. Lo fa il blog di Beppe Grillo, che attacca il Corriere della Sera. E lo fanno alcuni deputati. Accanimento ancora più acceso si riscontra tra i parlamentari più in difficoltà, quelli per i quali è partito un preavviso di provvedimenti, con l’aut aut di Grillo: «O con la Raggi o fuori». Dal ruolo di Salvatore Romeo all’inchiesta che la riguarda al rapporto con i militanti pentastellati: Virginia Raggi si difende e passa al contrattacco. In questi giorni si sta parlando molto dell’inchiesta a suo carico, il Movimento non ne esce bene… «Affatto. I media hanno provato a indebolirmi, raccontando menzogne su menzogne al solo scopo di infangarmi. Hanno accostato II mio nome ad alcune ipotesi di reato, come quella sulla polizza assicurativa, che poi si sono rivelate totalmente infondate: frutto di fantasie giornalistiche. Ma i romani sanno riconoscere la verità e ci giudicheranno sulle cose concrete che stiamo facendo per Roma». «C’è stata una partenza sbagliata Ma la polizza non è corruzione». La prima cittadina: mi fidavo di Romeo, su di lui valuterò il da farsi con i legali.
Centro detrsa e centrosinistra alle prese con la leadership. E se le prossime elezioni fossero vinte dal centrodestra, a dispetto delle previsioni che restringono la corsa a Pd e 5 Stelle? Gli ultimi sondaggi danno la coalizione Fi-Lega-Fdi in crescita, non solo quelli commissionati da Berlusconi. E allora lo stesso Berlusconi, Salvini e Meloni cominciano a farsi due conti. Certo, le distanze programmatiche sembrano abissali su tanti temi, soprattutto sull’euro, l’Europa e la Merkel. Sovranisti-lepeniani-trumpisti d’Italia contro i moderati forzisti iscritti al Ppe. Poi c’è tutta la questione della candidatura a premier su cui punta il capo del Carroccio e delle primarie che il Cavaliere non vuole fare. Infine Salvini e Meloni vogliono le elezioni il prima possibile. Fi considera le urne a giugno come la peste: aspetta la sentenza della Corte di Strasburgo che dovrebbe riconoscere al suo leader l’onore politico perduto e consentirgli di ricandidarsi. Ma questi impedimenti all’unità scomparirebbero magicamente se ci fosse la possibilità di tornare al governo. E i sondaggi, per quanto prematuri e a volte fallaci, stanno cominciando a fare il miracolo. Per il Pd invece vi sono due date: mercoledì sera si terrà l’assemblea dei parlamentari dem (dove potrebbe esserci anche Renzi) e lunedì 13 il Pd riunisce la direzione. Sono le due linee di confine per cercare di uscire dal caos sulla legge elettorale, che è l’ennesima spia della frantumazione del Pd. Ma nel mezzo inizia la “settimana dei caminetti”. A sorpresa Renzi ha deciso che è arrivato il “tempo del rammendo”, per usare una metafora che il leader dem ha appreso dall’architetto Renzo Piano e rilanciato già altre volte. «Bisogna fare raffreddare la situazione», ha detto il segretario, confidando che qualunque cosa dica viene vivisezionata e attaccata. Meglio il silenzio, ma contatti e confronto con tutte le correnti. Intanto Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia con la voglia di scalare il partito al segretario, in un’intervista a Maria Latella su Sky Tg24, non le manda a dire: «Non si dimette perché deve sistemare i suoi soldati e le sue salmerie, ma spontaneamente devasta tutto ciò che entra in relazione con lui».
Politica estera
Marine Le Pen lancia la sfida di un’uscita dalla Ue e dalla Nato. Anni di normalizzazione, di presa di distanze dagli eccessi paterni, un lungo cammino per fare del Front National «un partito come gli altri». Ma senza esagerare, altrimenti perché votarlo? E infatti Marine Le Pen, nel cuore del suo discorso di candidatura all’Eliseo, a un certo punto dice «quelli che sono venuti in Francia devono aspettarsi la Francia, non pretendere di trasformarla nel loro Paese d’origine. Perché se volevano vivere come a casa loro, dovevano restarci». La sala viene giù dagli applausi. (…) Quanto nel comizio del progressista Emmanuel Macron, il giorno prima, sempre a Lione, non c’era rabbia ma fiducia, voglia di proporre e migliorare l’esistente, tanto Marine Le Pen si rivolge ai francesi che amano la Francia ma non questa. Il Paese oggi, secondo loro, non funziona perché non è libero, la sovranità è stata ceduta, senza combattere, a organismi internazionali corrotti e anti-patriottici. Qui la rabbia c’è, eccome. (…) la candidata che dichiara di presentarsi «in nome del popolo», garantisce che con lei all’Eliseo la Francia abbandonerà la Nato, e torna a promettere un referendum per l’uscita dall’Unione Europea. Il progetto di indire un referendum sull’Europa, nel caso il Front National dovesse vincere le presidenziali di primavera, non è nuovo. Se ne è parlato anche dopo la Brexit, accolta con entusiasmo da Marine Le Pen come una battaglia d’avanguardia vinta dai compagni populisti d’Oltremanica. Una battaglia da ripetere in Francia appena se ne presenterà l’occasione. E il fatto nuovo è che il momento per colare a picco la nobile e malandata Unione Europea appare adesso ai populisti del continente più che mai favorevole.
Trump difende Putin ed è ancora battaglia legale sul blocco ai migranti. «Vladimir Putin non è un killer?», chiede Bill O’Reilly, il conduttore più famoso della tv conservatrice Fox News. Sono le 16 di domenica: gli americani si preparano a vivere il Super Bowl, la partita di football e lo show di contorno più seguiti dell’anno. L’intervista a Donald Trump fa parte della grande attesa. Questa la risposta del presidente degli Stati Uniti: «Pensi che l’America sia così innocente? Anche da noi ci sono molti assassini». «Sì, ma qui stiamo parlando di un leader», replica il giornalista. Trump non arretra: «Anche noi abbiamo fatto tanti errori. Pensa solo alla guerra dell’Iraq. Quanta gente è morta». Ecco fatto: in due minuti Trump ha messo insieme un’equazione esplosiva. Le responsabilità di Putin sono, di fatto, accostabili a quelle di George W. Bush, il presidente che ordinò l’invasione dell’Iraq. Il resto dell’intervista sembra ormai routine, tra un avvertimento all’Iran e l’approccio verso Mosca: do rispetto Putin, è il capo del suo Paese. Non so se ci andrò d’accordo, questo si vedrà. Dico, però, che sarebbe meglio trovare un’intesa con la Russia piuttosto che litigarci. E se la Russia ci aiuta nella lotta contro l’Isis e il terrorismo islamico nel mondo, beh, allora questa è una cosa buona». Donald Trump la pensa come Noam Chomsky? Al giornalista della Fox che lo interroga su «quell’assassino di Putin», il presidente risponde: «Neanche l’America è innocente». La sinistra radicale questo lo dice da decenni. Torna in mente la critica dei movimenti terzomondisti, anti-imperialisti in cui molti di noi sono cresciuti dagli anni Sessanta. Intanto la sospensione del bando ai migranti resiste al vaglio dell’appello. La nona sezione della corte d’Appello di San Francisco ha convalidato sabato sera la sentenza che un giudice federale di Seattle aveva comminato il giorno prima.
Economia e Finanza
Europa a due velocità. Il ministro del Tesoro Padoan che a Palazzo Madama parla di Europa a un’aula mestamente vuota, dove bivaccano annoiati tredici senatori, fotografa la miserabile ipocrisia della politica tricolore. Sempre pronta allo strepito usa-e-getta da studio televisivo, mai capace di elaborare un pensiero lungo in una sede istituzionale. Il futuro dell’Ue sarà il tema dominante delle prossime campagne elettorali. In Olanda, in Francia, in Germania e anche in Italia (che si voti a giugno o nel 2018 ). Dall’Europa che verrà dipenderanno le vite di noi cittadini che la abitiamo. La crescita e il lavoro, il welfare e le tasse. Ma nel Paese, al di là delle schermaglie tattiche e delle sparate strumentali, manca la percezione della posta in gioco. «Dico solo una cosa: era ora». Forse Romano Prodi credeva di aver fatto il callo alle molte delusioni che gli sono arrivate dalla “sua” Europa. Ma il tono di voce con cui commenta le ultime dichiarazioni di Angela Merkel sulla necessità di formalizzare una Ue a due velocità, proprio quando l’Europa è sotto l’attacco concentrico di Trump e di Le Pen, lascia trasparire qualche bagliore del vecchio entusiasmo europeista. Ha ragione la Merkel, allora? «Sono due anni che lo ripeto: questa, in mancanza di una condivisa politica europea, è l’unica strada percorribile. Tutti insieme non si riesce a portare avanti il progetto europeo. La mossa della Cancelliera è benvenuta anche perché mi sembra che finalmente dia una prima risposta a Trump e a Le Pen».
Riforma PA e lotta all’evasione fiscale. Visite fiscali ai dipendenti pubblici in malattia affidate sempre all’Inps, con orari armonizzati tra pubblico e privato. La strategia del governo contro l’assenteismo nella pubblica amministrazione, come previsto già nella legge delega, passa per un riordino degli accertamenti, che trova posto nel nuovo testo unico che il governo dovrebbe approvare a fine mese. Le novità principali rispetto alla situazione attuale sono tre. La prima riguarda appunto l’accentramento delle visite all’Inps, che allo scopo potrà usare il proprio database. E’ previsto che le visite possano essere disposte d’ufficio dall’Inps, oppure effettuate su richiesta dell’amministrazione. Concretamente il lavoro dovrebbe essere svolto in via prioritaria dai medici fiscali inclusi nelle cosiddette “liste speciali”, che operano in regime di libera professione. La terza novità è una conseguenza dell’unificazione tra pubblico e privato e riguarda orari e modalità delle visite. Nel campo dell’evasione fiscale, l’acceso dibattito coinvolge politici, studiosi, dirigenti dell’amministrazione finanziaria, della Corte dei conti e, soprattutto, cittadini e imprese, che attendono da anni un efficace contrasto a questo fenomeno per ottenere finalmente un vero allentamento della pressione fiscale. Una riduzione non marginale delle risorse drenate dallo Stato è senz’altro uno degli stimoli che può contribuire a far ripartire la crescita attraverso maggiori consumi e investimenti privati. Il preoccupante «tax gap» Iva a livello europeo ha spinto le autorità di Bruxelles e gli Stati membri a elaborare delle ricette per ridurre tale divario. La Commissione europea (con l’avallo anche del Consiglio europeo) ha proposto quattro azioni da realizzare nel breve ovvero nel medio tempo. In primo luogo, è necessario rafforzare il livello di cooperazione tra amministrazioni. In secondo luogo, è necessario migliorare la tax compliance attraverso una maggiore collaborazione tra contribuenti e amministrazioni finanziarie, ricorrendo in modo più ampio a sistemi di certificazione di affidabilità. In terzo luogo, bisogna migliorare la riscossione dell’imposta anche attraverso l’utilizzo di strumenti di comunicazione ovvero il ricorso alle tecnologie. In quarto luogo è necessario, nel medio termine, puntare, negli scambi intraunionali, alla tassazione piena delle operazioni nello Stato di destinazione