Politica interna
Grillo lascia Farage in Europa. Lasciare gli euroscettici di Nigel Farage per entrare nel gruppo, di convinta fede europeista, dell’Alde. La proposta di far cambiare posto e alleanze ai 5 Stelle nel Parlamento Europeo l’ha lanciata ieri, sul blog, Beppe Grillo. L’ultima parola spetta adesso alla Rete: si chiude oggi il voto online tra gli iscritti al M5S, cominciato ieri. A sorpresa. Perché la svelta, sebbene di un divorzio dall’Ukip si parlasse da tempo, ha spiazzato anche gli stessi eurodeputati. Le frizioni, le incomprensioni tra Ukip e Movimento Cinque Stelle risalgono all’epoca del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. «Dovevamo anche pensare a un progetto a lungo raggio, non con un orizzonte di due anni», si giustificano i pentastellati. Sei-sette mesi di altalene: prima con alcune promesse degli inglesi (sui ruoli e il peso all’interno del gruppo in vista dell’abbandono dell’Europa) venute poi meno, poi proprio con frizioni reciproche su atteggiamenti e cariche da ridistribuire a metà della legislatura. Uno stallo che ha portato già a fine settembre all’avvio di alcune trattative. A ordire la trama David Borrelli, il braccio destro di Davide Casaleggio a Bruxelles, il Cinque Stelle che a giugno ha incassato la stima pubblica dell’ex premier Mario Monti.
Il futuro e le mosse di Renzi. Renzi dovrebbe tornare a Roma domani, ma per il segretario del Pd non sarà il dossier sulla riforma elettorale il primo punto all’ordine del giorno. Al Nazareno il ritornello è un altro, al di là delle dichiarazioni di facciata: tutto è sospeso fino alla sentenza della Corte. Che è prevista intorno ai primi di febbraio. Il che vuol dire che, comunque, le elezioni anticipate ad aprile non rappresentano uno scenario possibile. Il segretario del Pd, dunque, non tenterà nessun blitz sulla riforma elettorale e non farà di tutto pur di arrivare a un accordo con Forza Italia su questo tema. Preferisce aspettare perché sa che tanto, quando sarà, non si potrà fare nessuna intesa senza il Partito democratico. Insomma, Renzi non si intesterà nessuna battaglia per avere un accordo sulla riforma elettorale prima della Consulta. Piuttosto, l’ex premier sta lavorando al programma del Pd, con uno sguardo all’iperattivismo di Grillo. A un mese dalla fine del suo governo, la lunga pausa festiva non è servita a ridimensionare le difficoltà con cui, in tutta evidenza, sta combattendo Matteo Renzi. Il suo tentativo di mettere in scena un ritiro, seppure temporaneo, dalla politica, cozza con la responsabilità, mantenuta, di segretario del Pd, e con il dovere di solidarietà verso il governo Gentiloni. La sua narrazione del ritorno in famiglia e della riscoperta dell’identità di padre, le foto della spesa al supermercato e delle vacanze sulla neve, non sono bastate a cancellare i contorni del problema italiano – anche se non solo italiano – di come reinventarsi la vita e un ruolo politico soddisfacente dopo la caduta, magari in attesa di potersi schierare di nuovo ai blocchi di partenza di un’altra corsa. Matteo Renzi sa che la partita decisiva è sulla legge elettorale. E su quella vuole giocarsi le sue carte, senza fretta. Sapendo che sul tavolo ci sono cinque diverse opzioni. Una, però, sta diventando per molti uno scenario inaspettato e piuttosto rischioso. L’Italicum anche al Senato, ballottaggio compreso. È questa infatti la soluzione che può prendere quota, a due settimane dalla sentenza della Consulta. Un sistema che spaventa molti nel centrosinistra e nel centrodestra, ma che vanta la benedizione di Grillo.
Politica estera
Attentato a Grusalemme. Gerusalemme come Berlino. Un camion lanciato a tutta velocità su un marciapiede, guidato da un terrorista probabilmente legato all’Isis. È successo ieri alle due del pomeriggio, lungo la trafficata Armon Hanatziv Promenade, vicino all’insediamento che porta lo stesso nome. L’assalitore ha sterzato di colpo dalla carreggiata e ha puntato un gruppo di soldati sul marciapiede, appena scesi da un pullman. I militari, tutti giovanissimi, avevano appena cominciato una visita guidata alla città ma erano con i loro istruttori, e armati. In pochi secondi hanno capito. Hanno sparato e cercato di bloccare il guidatore. Una quindicina sono stati travolti. Quattro (di cui tre donne), sono morti. Tredici sono rimasti feriti, tre sono in gravi condizioni. L’Isis potrebbe aver realizzato la seconda, o terza, breccia nel muro difensivo israeliano. Ma è Hamas a metterci il cappello sopra, con la massima enfasi. Non sappiamo ancora chi abbia ispirato davvero il killer di Gerusalemme, che sui media arabi i vicini di casa descrivono come «uno che pregava ma non particolarmente religioso». Di certo il movimento islamista padrone della Striscia di Gaza non si lascerà scappare l’occasione per rilanciarsi come «l’unica forza» che si batte contro Israele. Un’altra forza, ancora più estremista, sta però mettendo piede in Cisgiordania. L’Isis punta sui giovani delusi dai scarsi risultati dell’Intifada «dei coltelli» e propone il Califfato come alternativa a uno Stato palestinese sempre più chimera. L’ attacco di Gerusalemme fa evocare a Benjamin Netanyahu lo spettro dell’Isis. Secondo il premier israeliano, vi è un legame tra quanto è avvenuto nei pressi della Città Vecchia e Nizza e Berlino. Anche se, la roadjihad, condotta con ogni tipo di veicolo, contro civili e soldati, non è una novità in quello scenario. Mettere l’accento sul possibile legame con quanto avvenuto in Francia e in Germania significa, assimilare ogni forma di terrorismo a quello jihadista. Tanto più in un momento in cui la comunità internazionale critica duramente la politica degli insediamenti del governo israeliano
Morte di Rafsanjani. E’ morto ieri per un infarto Akbar Hashemi Rafsanjani, 82 anni. Dire che è stato un ex presidente della Repubblica Islamica non rende l’idea: per tutta la vita è stato un manovratore della politica iraniana, tanto da meritarsi soprannomi come «Akbar Shah» (grande re). Era il nume tutelare dei moderati e dei riformisti, capeggiati dall’attuale presidente Hassan Rouhani, che credono nell’apertura all’Occidente e in maggiori libertà sociali. Rafsanjani era un re del business, la rivista statunitense Forbes lo aveva inserito nell’elenco degli uomini più ricchi al mondo (nel 2003) e per questo sarebbe stato l’interlocutore ideale per il presidente americano Donald Trump: miliardari prestati alla politica, alle spalle imperi economici gestiti dai clan famigliari. Con Ali Akbar Hashemi Rafsanjani scompare uno dei massimi protagonisti della storia della Repubblica Islamica dell’Iran, ma quello che ci si chiede oggi è in che misura la sua morte possa influire sulla politica attuale. E più concretamente sulle sorti del progetto di riformismo moderato del presidente Rouhani. Rafsanjani, pur non avendo più un ruolo di vertice nella complessa struttura del potere, aveva mantenuto un’influenza non secondaria, soprattutto data l’esistenza di un diffuso “partito rafsanjanista” – un partito non palese ma influente e trasversale cui appartengono, nello stato e nella società, e in particolare nelle élites economiche, tutti coloro che, pur sostanzialmente identificati con il regime nato dalla rivoluzione del 1979, sono convinti che la Repubblica Islamica potrà sopravvivere alle sfide sia interne che internazionali soltanto con il cambiamento e l’apertura al mondo.
Economia e finanza
Banche. L’agenda è serrata per tutto gennaio. Ma già da oggi il tema banche sarà tra le prime preoccupazioni del governo nonché, per forza di cose, tra le prime attenzioni del Parlamento. Perché non è bastato lanciare il decreto salva-risparmio con un intervento dello Stato fino a 20 miliardi. Già domani inizierà l’iter al Senato, con al centro il tema Mps e più in generale le crisi bancarie. Ed è molto probabile che venga inserito proprio nel decreto un paragrafo ad hoc sui «debitori-colpevoli». Vale a dire un grimaldello giuridico che di fatto ricalca la proposta lanciata dal presidente dell’Abi dalle colonne del Mattino. Antonio Patuelli chiede che per le banche salvate si rendano noti i nomi dei grandi debitori che non hanno fatto fronte ai propri impegni e che insieme agli amministratori hanno di fatto contribuito a provocare il dissesto dell’istituto, salvato con costi enormi per il sistema bancario, per i risparmiatori e soprattutto per lo Stato. L’Europa sembra aver seguito un doppio standard nelle più recenti vicende bancarie. Con il fine di evitare pesanti choc. I criteri di valutazione degli attivi di bilancio delle banche europee tra «scenari di base» e «scenari avversi» sono stati modulati secondo i diversi casi. L’obiettivo chiaro era impedire che le difficoltà degli istituti di credito più sofferenti provocassero effetti sul sistema creditizio nel suo insieme. Intanto Pier Paolo Baretta, sottosegretario riconfermato al Ministero dell’economia, accoglie l’invito di Patuelli: «Etico pubblicare i nomi dei colpevoli dei fallimenti. La decisione spetta al Parlamento». E da oggi, 9 gennaio, il risparmiatore italiano ha uno strumento di protezione in più. All’arbitro già funzionante presso la Banca d’Italia per le controversie sui servizi bancari, si aggiunge quello per i servizi di investimento, dunque per una materia che riguarda strettamente i profili di correttezza e di trasparenza che sono alla base della tutela degli investitori.
Imboscati nel pubblico impiego e trasparenza Pa. L’Italia degli imboscati non ammette eccezioni. Da Nord a Sud, anche se con percentuali diverse. Nella Sanità Roma è la capitale degli esonerati dalla prima linea. In ospedale per un lavoratore su 7 niente guardie, turni, contatti coi malati. Il doppio della media nazionale. In tutto il Paese poi la legge 104 è utilizzata dal 13, 5% dei lavoratori pubblici contro il 3,3 del privato. «Io, padre di una disabile, chiedo il pugno duro contro chi abusa di queste norme», dice a Repubblica il sottosegretario Faraone. La contrattazione al centro, e non solo per far crescere salari e produttività, ma anche in funzione anti-abusi e anti-furbetti. La segretaria della Cisl Annamaria Furlan sottolinea l’importanza di «condividere progetti, produttività e organizzazione del lavoro», anche per prevenire comportamenti deviati. È partita intanto la rivoluzione del Foia italiano (il Freedom of information act), il decreto sulla trasparenza della Pa: il dipartimento della Funzione pubblica di Marianna Madia, “padre” del decreto, ha pubblicato online il modulo per il nuovo accesso già il 23 dicembre. Esattamente il giorno del debutto, senza attendere le istruzioni dell’Anticorruzione di Cantone, che sono arrivate a stretto giro, il 28 dicembre. Rispetto alla bozza in consultazione, le linee guida Anac sull’accesso hanno semplificato molto le richieste di conoscenza dei dati trasmesse online. Non più, come sembrava in un primo momento, domande da corredare con firma digitale, Spid (Sistema pubblico di identità digitale, ovvero la password unica per tutta la Pa) e posta elettronica certificata, ma via libera a una semplice mail agli uffici in possesso dei dati o all’Urp con fotocopia del documento di identità.