Robert Mapplethorpe (New York, 1946-1989) è uno dei grandi maestri della fotografia del XX secolo e fra i maggiori rappresentanti di quelle seminali ricerche che tra gli anni Settanta e Ottanta si fecero interpreti delle istanze culturali più radicali, e in gran parte ancora inespresse, dell’epoca. L’artista diede rappresentazione all’estetica e alle sensibilità delle contro-culture underground, contribuendo alla progressiva affermazione del linguaggio fotografico quale forma di espressione artistica contemporanea. Coreografia per una mostra, organizzata dalla Fondazione Donnaregina perle arti contemporanee in stretta collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation, coincide con il trentennale della mostra personale itinerante The Perfect Moment, inaugurata nel dicembre 1988, pochi mesi prima della scomparsa dell’artista, avvenuta il 9 marzo 1989, all’età di 43 anni.
La mostra al Madre si concentra in modo assolutamente inedito sull’intima matrice performativa della pratica fotografica di Mapplethorpe, rintracciando e mettendo in scena l’intrinseca necessità di rappresentare la
vibrazione erotica e intellettuale dei soggetti, per ribaltare l’impersonale e documentaria staticità dello scatto fotografico. Questa matrice performativa è sviluppata,nel concetto e nella struttura della mostra, come un possibile confronto fra l’azione del “fotografare” in studio (nell’implicazione autore / soggetto / spettatore) e del “performare” sulla scena (nell’analoga implicazione performer / coreografo / pubblico). Il Madre afferma così la sua vocazione di collettore fra diverse espressioni
creative, che si congiungono per ripensare e rimodulare sperimentalmente la fruizione e la natura stessa di un museo. Una ”danza” fra opere e azioni coreografiche, che propone un’esperienza conoscitiva nuova delle opere dell’artista newyorkese, reinterpretate alla luce del dinamismo che scaturisce dai corpi ritratti, dagli articolati riferimenti alla storia dell’arte e dalla costante ricerca di una possibile perfezione formale. Sono
caratteristiche, queste, che si accordano anche con la rigorosa disciplina fisica e con le evoluzioni della danza.
Non è un caso, infatti, che i corpi di Bill T. Jones, Gregory Hines, Molisse Fenley e Lucinda Childs siano il doppio danzante delle più significative opere di Mapplethorpe.
La mostra prevede, per questo, un programma di interventi performativi site specific commissionati dal Madre a famosi coreografi internazionali per rileggere i principali motivi delle opere fotografiche di Mapplethorpe: il richiamo ai canoni dell’arte neoclassica; l’affievolimento delle differenze fra generi e identità sessuali; il continuo concentrarsi sul contrasto bianco-nero; la fragilità (se non l’inesistenza) del confine fra dolore e piacere; il seducente glamour della scena artistica e culturale newyorkese, mescolato ad un gioco di evocazioni di una Napoli un perenne oscillazione tra vita e morte.
Questa “coreografia” espositiva si articola suddividendo la mostra in tre sezioni, fra loro connesse. All’inizio un’ouverture, nella sala d’ingresso e nelle due sale attigue, che ridisegna lo spazio-tempo del museo infondendogli un’ispirazione teatrale, tesa nel gioco di sguardi fra le
due “muse” mapplethorpiane, femminile e maschile, Patti Smith e Samuel Wagstaff Jr.
A seguire, nelle cinque sale iniziali e nelle sei sale finali della mostra, il pubblico si introduce direttamente sul palcoscenico di questa messa in scena per immagini — fra ballerini, atleti, body— builders, modelle e modelli — esplorando la performatività del soggetto fotografato, che Mapplethorpe riprendeva con un’accurata preparazione nel suo studio.
Le due sale che precedono e seguono la sala centrale fanno invece scendere il visitatore in una potenziale platea, analizzando il ruolo del pubblico, la dinamica desiderante dello sguardo di decine di ritratti che, nel loro complesso, non solo ci restituiscono uno straordinario diario personale della vita, degli affetti, amicizie, incontri, collaborazioni e
commissioni dell’artista, ma al contempo ricostruiscono, fra dimensione privata e sfera pubblica, un ritratto collettivo della società newyorkese e del jet-set internazionale fra gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo,
destinato a completarsi con lo sguardo dei visitatori a una rigorosa regia delle luci, fino a depurare la contemporaneità del soggetto fotografato da ogni traccia di cronaca o da ogni sospetto di improvvisazione.
L’immagine risultante rivela, in questa sua storicizzazione performativa, molteplici echi alla statuaria antica, al disegno e alla pittura rinascimentale, alle arti applicate o alle ricerche pittoriche e plastiche dal Neoclassicismo
al Romanticismo, fra XVIII e XIX secolo. Ognuno di questi echi è filtrato da un desiderio di armonia e equilibro, di composizione e controllo formali, di quella ricerca che l’artista stesso definì di “ordine” e ”perfezione nella forma”.
All’incontro fra I’eterodossia anche scioccante del soggetto contemporaneo e il modo (neo)classicizzantedella sua rappresentazione si definisce un’esperienza liminare e oscillatoria, una dialettica vibrante fra, come
ha scritto il critico e curatore Germano Celant, “ordine e disordine, dissenso e assenso, anarchia e idealismo”, fra perversione e purezza, dominio e perdita di controllo, provocazione e cristallizzazione. Un’insopprimibile ricerca di dualità, o pluralità, che non esclude ma persegue l’unione fra gli opposti, a partire da quella fra maschile
e femminile, esaltando una dimensione non solo sessuale o sentimentale, ma anche conoscitiva, che potremmo definire tanto omo-erotica quanto omo-concettuale.
Per ricercare e affermare le radici di questo dialogo “performativo” con la storia dell’arte, il percorso espositivo si riplasma in un museo ipotetico, che attraversa il tempo e il suo stesso statuto, in cui la storia dell’arte è messa in scena, come se fossimo in un teatro. La collezione di questo museo ipotetico include una selezione di opere archeologiche provenienti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e una selezione di disegni, dipinti, sculture in bronzo, porcellana e avorio in prestito dal Museo e Real Bosco di Capodimonte Napoli, entrambe istituzioni partner di questo progetto. Come già avvenutoper le mostre personali dedicate dal Madre a Boris Mikhailov (2015) e Mimmo Jodice (2016), anche nel caso di questa mostra di Robert Mapplethorpe la ricerca fotografica si approfondisce, e precisa, nel dialogo con la storia dell’arte e con le possibili matrici che essa fornisce alla loro ricreazione fotografica.
I torsi di atleti e figure muliebri, l’Antinoo Farnese, un Ermafrodito e un
tintinnabulum antichi, cosi come le sanguigne e i disegni di corpi e le sculture in bronzo e porcellana di divinità e efebi rinascimentali, la sensualità eburnea di un Crocifisso (da Giambologna), l’intreccio teatrale fra corpi nudi del Caino e Abele di Lionello Spada, la morbidezza sospesa
delle Ipomee e ”boules de neige” di Andrea Belvedere e la muta relazione fra maestro e discepolo del Doppio ritratto maschile di Maso da San Friano, costituiscono nel loro insieme un museo tanto provvisorio quanto ideale, una macchina tanto scenica quanto disciplinare che, attraversando il tempo e lo spazio, fa affiorare i contorni di una pratica artistica colta e raffinata, che si nutre, sul filo di un’implacabile ricerca di perfezione, dell’incontro ibrido e sottile tra antichità e contemporaneità, idealità apollinea e sensualità dionisiaca, canone classico e tensione barocca.
Relazioni asimmetriche che corrispondono a quella che Mapplethorpe ebbe anche con la città di Napoli e la cultura campana. Artista presente nella collezione Terrae Motus ideata e costituita dal gallerista napoletano Lucio Amelio— che ospitò la prima mostra personale dell’artista a Napoli
nel 1984 (a cui seguì una mostra—omaggio nel 1994, l’anno stesso della scomparsa del gallerista) — Mapplethorpe seppe creare un appassionato e empatico rapporto con l’umanità contraddittoria della cultura partenopea e
campana, facendosi ispirare dalla sua costitutiva relazione fra vita e morte e creando straordinarie vedute. Tra cui quelle, emblematiche, che ritraggono il Porto di Napoli, i Faraglioni di Capri, I’Antro della Sibilla a Cuma, i teschi o “capuzzelle” ei paesaggi dedicati alle sculture di giardini e parchi monumentali. Immagini che ricorrono nel percorso della mostra insieme ad alcuni materiali documentari provenienti dall’Archivio Amelio-Santamaria, fra cui il disco Ma l’amore no del 1990, che contiene all’interno la riproduzione di un ritratto del gallerista napoletano eseguito dall’artista newyorkese.
In mostra viene inoltre approfondita – introdotta e inquadrata dall’accostamento con alcuni disegni e la scultura del Pescatoriello di Vincenzo Gemito – anche l’ispirazione che esercitò su Mapplethorpe l’imagerie del fotografo tedesco Wilhelm von Gloeden, alla cui eredità stilistica e intellettuale proprio Amelio dedicò fra il 1977 e il 1978
una mostra e due pubblicazioni, con prefazioni della critica
Marina Miraglia e del semiologo e scrittore Roland Barthes.
La mostra al Madre si integra con un’altra mostra personale dell’artista in Italia, che sarà inaugurata a marzo 2019 presso le Gallerie Nazionali di Arte Antica, alla Galleria Corsini, a Roma.
Chi è Robert Mapplethorpe
Robert Mapplethorpe nasce il 4 novembre 1946 a New York, in una
famiglia cattolica osservante di origini irlandesi. La sua formazione
avviene negli anni delle proteste contro la guerra nel Vietnam e nel .
contesto delle rivolte studentesche e dei movimenti per i diritti civili e di autocoscienza femminista e omosessuale.
Nel1967 conosce la giovane poetessa Patti Smith, che diverrà uno dei soggetti da lui più fotografati fra il 1970 e il 1973. Anche grazie all’incoraggiamento ricevuto dal curatore della sezione fotografica del MoMA, John McKenclry, dal 1970 inizia a sperimentare l’utilizzo della Polaroid.
Nel1972 conosce il collezionista e curatore Samuel Wagstaff Jr., che nel1975 gli regala la sua prima macchina fotografica Hasselblad e che contribuirà in modo sostanziale all’affermazione dell’artista.
Nol1973 si tiene la sua prima mostra personale, Polaroids, alla Light Gallery di New York. Sperimentando formati e tecniche di stampa differenti, Mapplethorpe documenta la scena underground newyorkese. Le immagini realizzate saranno il soggetto di due mostre, entrambe intitolate Pictures e inaugurate nel 1977 in due gallerie newyorkesi: la Holly Solomon Gallery e la galleria The Kitchen; in quest’ultima vengono esposte le foto S&M che compariranno nel 1978 nel Portfolio X. Nello stesso anno Mapplethorpe realizza anche il Portfolio Y, raccolta di soggetti floreali e arborei, a cui seguirà nel1981 il Portfolio Z, una serie di nudi in cui figurano soggetti afro-americani.
Nel 1978 il Chrysler Museum di Norfolk, in Virginia, ospita Photographs,
la prima mostra personale dell’artista in un museo, mentre le sue opere vengono esposte al Los Angeles Institute of Contemporary Art nella mostra Bondage and Discipline e la galleria La Remise di Parigi inaugura la sua prima personale in Europa. Il riconoscimento della sua ricerca sul piano internazionale permette all’artista di approfondire i rapporti con intellettuali, scrittori, star dello spettacolo e aristocratici del vecchio continente, che diventano il suo pubblico di riferimento e, allo stesso tempo, i committenti di molti ritratti. Fra le mostre di questo periodo le personali al Frankfurter Kunstverein di Francoforte (1981), al Contemporary Art Center di New Orleans (1982) e al Centre
Georges Pompidou di Parigi (1983). Nello stesso anno inaugura al .
Palazzo Fortuny di Venezia la mostra Robert Mapplethorpe, fotografie,
ripresa al Palazzo delle Cento Finestre di Firenze. Nel 1984 si tiene
Matrix 80: Robert Mapplethorpe al Wadsworth Atheneum Museum
of Art di Hartford, Connecticut, a cui segue, due anni dopo, la mostra
a Bologna, Palazzo Accursio.
Nel settembre del 1986 Mapplethorpe scopre di aver contratto il virus dell’HIV. Nel1988 l’artista istituisce una fondazione destinata alla conservazione delle sue opere, al supporto della creazione fotografica e al sostegno alla ricerca scientifica sul virus dell’HIV.
Nello stesso anno si inaugura la mostra itinerante The Perfect Moment, ospitata da Institute of Contemporary Art- University of Pennsylvania di Philadelphia, Museum of Contemporary Art di Chicago, Washington Project for the Arts di Washington D.C, Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford, University Art Museum-University of California di Berkeley, Contemporary Art Center di Cincinnati e Institute of Contemporary Art di Boston, che suscita furiose polemiche.
L’artista muore il 9 marzo 1989, e da quell’anno si susseguono mostre a lui dedicate nei più importanti musei internazionali. Nel 1992 la Kunsthalle di Dusseldorf pone in dialogo le opere di Mapplethorpe con quelle dello scultore francese Auguste Rodin. Il confronto sarà ripreso nel 2014 dalla mostra Mapplethorpe— Rodin al Musée Rodin di Parigi. Nel 2000 The Perfect Moment viene ripresentata al Santa Monica Museum of Art in California, mentre nel 2004 il Solomon R. Guggenheim Museum di New York e l’Hermitage di San Pietroburgo presentano Robert Mapplethorpe and the Classical Tradition: Photographs and Mannerist Prints.
Nel 2009 la mostra alla Galleria dell’Accademia di Firenze Robert Mapplethorpe: la Perfeziona nella Forma mette a confronto le immagini del fotografo con i capolavori dell’arte fiorentina. Nel 2012 la mostra Robert
Mapplethorpe: XYZ al Los Angeles County Museum of Art presenta i
tre portfoli dell‘artista. Nel 2016 si inaugura Robert Mapplethorpe: The
Perfect Medium, monumentale retrospettiva itinerante che riprende
il titolo The Perfect Moment.
Nel 2018 inaugura una mostra personale dell’artista al Museu de Arte Contemporanea de Serralves di Porto.