Spunta il giorno che se per tutta l’orbe cristiana è il più solenne di tutto l’anno per la ricordanza di un avvenimento onde l’Umanità fu riscattata dalla macchia originale, per Napoli è tal giorno di allegria, di subuglio, tal giorno di movimento, di vita, di piacere; tal giorno di affacendamento, di capogiro, di cuccagna, che mai le parole non potranno presentarne l’immagine a chiunque

non sia stato in questa città il di 24 dicembre di qualunque anno. Fin da’ primi giorni di questo mese, talvolta anche prima, tutte le faccende si rimettono a dopo Natale; le obbligazioni non si adempiono; il denaro si stagna per qualche tempo per riporsi in questo giorno in un’attivissima circolazione. Tutti sperano qualche cosa a Natale, tutti sono in aspettativa; gl’impiegati e i commessi attendono le gratificazioni, i medici e gli avvocati fidano su i capponi e su i caciocavalli de’ loro clienti; i maestri di scuola chiudono le loro porte agli alunni e la aprono agli allievi pennuti; gl’innamorati aspettano i dolci delle loro amanti e viceversa gli uscieri, i domestici, le fantesche, e tutta l’infinita generazione de’ portinai, ciabattini, artieri, e facchini dànno l’assalto de’ cento di questi giorni a dritta e a manca. Bel giorno è questo pel basso ceto!

I carlinelli piovon loro da tutte le parti, si che francamente li vedi abbandonarsi a quella gioia che è tutta naturale in essi; e li vedi correr le vie ele piazze, e salire e scendere le scalinate delle case, recando in sul capo grossi panieri carichi di regali, ovvero vassoi coverti da fazzoletti di seta, e contenenti dolci o torte.

Spettacolo indescrivibile offrono le piazze ed i mercati di comestibili fin da due o tre giorni innanzi la vigilia. I due regni animale e vegetale sono interamente rappresentati a Napoli in questa solenne festività. Tutto ciò che la terra produce; tutto ciò che si muove nel cielo, nel mare, ne’ fiumi, è schierato nella via Toledo, a Santa Brigida, a Porta San Gennaro, al Mercato, al Pendino, e nelle principali piazze della capitale. È tanta in questo giorno l’abbondanza de’ viveri a Napoli, che tutti i milioni di abitanti Europei vi si potrebbero sfamare, tutte le nazioni del mondo vi troverebbero il loro cibo prediletto e indigeno.

È costume di farsi dalla bassa gente privati contratti co’ pizzicagnoli, da‘ quali, pagando un cinque o sei grani per ogni settimana, ottengono a Natale una cesta ripiena di cibi che soglionsi mangiare in questi giorni. Questa cesta si suole addimandare sfrattatavola.

Fin da’ principi della novena di Natale i venditori di frutte fanno la così detta «parata», vale a dire che davanti alle loro botteghe innalzano un edificio di seccumi e di frutte fresche; le colonne di questo tempio sono circondate di frondi, e spesso alberi giganteschi ne sostengono la mole; nell’interno di questo recinto tu scorgi trofei di uve e di mele, archi di uve passe, stelle di fichi secchi, piramidi di agrumi, baldacchini di noci e di vecchioni, ed una formidabile artiglieria di pine. Accanto a questi magnifici parati si spiegano le ceste de’ pescivendoli, nelle quali vedi guizzare il sire de’ pesci del Natale, il capitone con sua moglie l’anguilla, e poi cernie, calamaretti, cefali, lagoste, merluzzi, e tutta quanta. la genera2ione degli abitanti del mare. Più lungi i volatili di ogni specie vengono a pagare con la loro vita il tributo alla più grande e solenne delle feste napolitane: migliaia e migliaia di capponi, ligati pe’ piedi a gruppi, ingombrano quasi tutte le vie della ’ Capitale, destinati a funzionare sulle mense la mattina del Santo Natale. Queste povere bestie, condannate all’estremo supplizio, o a scambi di regali, vanno per parecchi giorni in giro per la capitale, e nissuno in questo frattempo si cura di dar loro da mangiare, per modo che un digiuno di vari giorni precede per essi la pena capitale.

Non vi ha strada per la quale si possa agevolmente camminare, tanta è l’affluenza degli uomini e delle bestie, tra le quali primeggiano gli asini. Per Toledo non vedi che enormi muraglie di canestri e piatti; le cose più fragili ti capitano ad ogni momento sotto a’ piedi, come bicchieri, cristalli, pignatte, e tutta la batteria di cucina. La mattina della vigilia di Natale Napoli non è che una immensa cucina, siccome la sera non è che un immenso banchetto. Quasi ad ogni canton di strada vedesi un arsenale di tronaro vale a dire, un venditore di fuochi di artificio. Tutt’i trovati de’ moderni artiglieri non reggono al paragone delle botte inventate per festeggiare il Natale: ce n’è di ogni dimensione, di ogni nome, di ogni forza, nunzi di pace e non di guerra, il folgore e il tuono primeggiano tra i colpi.

Tutto questo spettacolo di vita vien peraltro ecclissato da quello che presentano i confettieri, i quali ritraggono in lavori di zucchero tutto ciò che è esposto in vendita nelle piazze. Per due o tre giorni le botteghe de’ confettieri sono talmente ingombre da’ compratori, che spesso non è possibile farsi udire per comprar qualche cosa. E qui è da notarsi, a gloria del nostro popolo, che rimanendo esposti quasi sulla pubblica via e senza custodi i cestoni ripieni di dolci e mostaccioli, non vi ha chi si attenti pur uno derubarne; la religiosa solennità del giorno ispira a tutti sentimenti di onestà, di amore.

Accresce la giocondità e la maraviglia di questa giornata il donativo Natalizio che la Città di Napoli riverente invia, per antica consuetudine e quale attestato di omaggio e di affetto, all’Augusto Monarca, nostro Signore. Questo donativo racchiude in sé tutta la parte più eletta e squisita de’ cibi di ogni stagione e di ogni contrada.

Tutta la popolazione di Napoli e contorni, e tutti i cinquanta o sessantamila forestieri che trovansi in questa città, si mettono in mezzo alla strada dallo spuntar del giorno, e vanno, e vengono, e si urtano, e s’incrociano, e chi compra, chi vende, chi corre pel regalo, chi per la mancia, chi per la visita, chi per curiosità; e tutti pel capitone. Il trambusto, le grida, il pigiarsi, l’infangarsi, il baccano, la confusione crescono col crescere del giorno, e non cessano che al domani.

Il di del Natale tutto sparisce, quasi per incanto; tutte le botteghe son chiuse; tutto è nettezza e quiete. Intanto, non si tosto le tenebre cadono su i capitoni e sulle anguille, incomincia un fuoco vivissimo da tutte le parti. Ben diceva un bello spirito napolitano che non si consumò tanta polvere a Waterloo, quanta sene consuma in Napoli per questa occasione. Le baracche de’ truonari sono affollate di compratori, ansiosi i cominciar la botta e la risposta.

Allo scoccar delle 24 ore, e quando Napoli si siede alle centomila sue mense, incomincia lo sparo degli artifizi. I tuoni, le fiaschelle, le folgori, le folgori pazze, i tric-trac, i fit-fit accompagnano i brindisi e le allegrie della tavola; gli amori galoppano, le dichiarazioni sono coverte dagli spari, le strette di mano son nascoste dallo stomatico: tutte le fisonomie sono gìoconde e vermiglie; tutt’i cuori si espandono, tutti ciarlano, ridono; ogni sofferenza sparisce, ogni malanno è posto in obblio; tutti sono ricchi, tutti contenti; i vecchi roman fanciulli e si mischiano all’ilarità de’ giovani. Bell’ora della vita è questa! Be’ momenti! La religione, la famiglia, la carità, l’amore si abbracciano in stretti amplessi. L’uomo malvagio si asside allato all’uomo giusto; poiché questa è l’ora in cui tutte le umane colpe sono riscattate.

In un momento cessa per poco tutta l’allegria; e la prece corre spontanea alle labbra, come un ringraziamento. È mezzanotte! Compita la processione, di cui abbiamo parlato, lo zampognaro s’inginocchia e fa l’ultima novena al Nato Bambino.

L’offerta de’ cuori vola al cielo pura ed accetta: gli occhi di tutti si riempion di lagrime: il silenzio del raccoglimento succede agli slanci della gioia; le campane suonano a festa. La pace si spande sulla terra. Gli Angioli ripeton nel cielo le preci che da tutti templi s’innalzano da’ fedeli ivi raccolti.

(Mastriani, 1857)