La storia di un popolo come il napolitano è la storia dei suoi piaceri, delle sue feste, de’ suoi rumori; non vi ha giorno dell’anno, in cui esso non abbia occasione di abbandonarsi a quella naturale gaiezza, a quella spensierata giovialità, che forma il fondo del suo carattere: egli riveste co’ colori della sua vivace immaginazione i suoi passatempi più consueti, e tanto li abbellisce, li anima, che questi divengono straordinari e sempre nuovi. Vi sono giorni di feste, pe’ quali il Napolitano dura con piacere un anno intero di fatiche; l’immagine dei sollazzi, a’ quali si abbandonerà in que’ giorni gli fa spesso dimenticare le asprezze di una vita povera e stentata. Che diremo, quando alla tendenza pel divertimento innata nel cuor de’ Napolitani si aggiunge l’occasione di esternare a’ loro Principi quell’affetto di cui questo popolo ha dato si luminose prove, e che è tanta parte della sua vita? Che
diremo di quelle feste in cui questo popolo rivede in mezzo ad esso la Real Famiglia, che gli si congiunge negli atti di pietà e nell’espressione del sentimento religioso?
La festività del di otto settembre, sacro ad onorare la, ricorrenza del Nascimento di Nostra Donna, e per noi una delle più liete e delle più solenni giornate. La divozione per la Beatissima Vergine è così universale, così sentita in tutte le classi del nostro popolo, che tutti non hanno che un sol pensiero, un sol accento nella manifestazione esterna di questo culto che trabocca e si spande e veste le sembianze del diletto.
Giace a piè del lungo scavo del monte, che da Pozzuoli prende il nome, un modesto santuario, consacrato a raccoglierei fedeli a solitarie preci rivolte alla Madre di Dio. Questo tempio, così semplice e nelle cui mura non vedi ordinariamente che pescatori, marinai ed altra gente di questa povertà, addiviene nel giorno solenne di settembre ricchissimo di pompa, di onori, di gente infinita che tragge a visitarlo. Il Monarca delle Due Sicilie e la Regal sua Famiglia si prostrano anch’essi riverenti ed umili a’ piè di quella Donna che con occhio sì benigno guarda a questa bella parte d’italia e vi spande le grazie della sua efficace protezione.
Da tutt’i più remoti quartieri della Capitale e da tutti i punti del Regno si conducono i fedeli a visitare il santuario di Piedigrotta; non vi ha provincia remota che sia che non mandi il suo contingente, sicché, molti giorni innanzi della festività, vedi arrivare in questa Capitale immenso stuolo di ospiti novelli di ogni ceto, e massime degli uomini di campagna, i quali abbandonano per poco i loro campestri lavori e con le loro famigliuole si recano in Napoli a godere di quella festa civile, militare e religiosa unica al mondo. E diciamo unica al mondo, perocché in verità non sappiamo dirlo di altra che riunisca tutti gli elementi sociali in una si bella manifestazione di ossequio alla Religione.
Lunghesso la strada di Toledo, Santa Lucia, il Chiatamone, la Riviera di Chiaia, è uno spettacolo imponente fin dalla vigilia della solenne festività. Gruppi innumerevoli di contadini dalle fogge più curiose e svariate si veggono trarre a piedi verso il Santuario di Piedigrotta. Questa generazione che si reca a compiere l’omaggio di una visita alla Vergine compendia una storia secolare di rimembranze affettuose, di care gioie derivanti dal cielo. I padri han narrato a’ loro pargoletti figliuoli la bellezza, lo splendore, la solennità del di otto settembre, e i figliuoli sospiravano il momento di trovarsi spettatori della più memorabile delle feste Napolitane. Per tal guisa nelle famiglie è caro il ricordo, son vive le immagini che per tradizioni si tramandano di questa giornata.
Già le fresche aure di autunno incominciano a dissipare gli ardenti calori della stagione estiva, si che bello è vedere quelle moltitudini di visitatori del Santuario, dopo aver adempito il divoto ufficio, sperperarsi nelle’adiacenti campagne e ivi trattenersi in onesti svagamenti, in merende di fichi e d’altre fratte, in passeggiate sollazzevoli. Altro non men grato spettacolo offrono le principali strade per le quali il Real correggio e l’Esercito debbon passare; presso che tutti balconi, terrazzini e terrazzi son coverti da ampie tende destinate a schermir da’ raggi del sole le più gentili damine che han tanto sospirato il ritorno del di otto settembre, per vedersi fatte segno agli sguardi di una sempre crescente calca di giovani. Sulle terrazze e su i balconi de’ primi piani vedi sorgere quasi per incanto, padiglioni, chioschi con file di sedie, di cui ciascuna acquista un prezzo elevato a seconda d’una maggiore o minore prossimità del luogo; Anche il mare fa di sé bella vista; dappoiché nel nostro golfo, fin dallo spuntar del mattino, vedi ornarsi di graziose bandiere, quali abiti di gala, gran numero di legni nostri e stranieri, i quali con bello avvicendarsi di salve dovranno nelle ore pomeridiane allietare la festa.
Al veder quella folla così compatta nelle strade, in su i balconi e da per tutto, non potrebbesi creder giammai che tutte quelle centinaia di migliaia di spettatori potessero trovar posti per godersi della vista del Real correggio, tanto più che gran parte delle pubbliche vie è occupata dalle milizie schierate in doppia fila. La sommità de’ palagi, i balconi, le finestre e dovunque apresi un varco tra le mura, apresi un varco ad un folto gruppo di teste umane: eppure nessun disordine, nessuna rissa, nessuna baruffa succede tra tanto movimento, tra tanto affollami, tra tanto desiderio di veder l’amato Sovrano e i Regali Principi.
Non parliamo della bella mostra che fanno di se’ le Regali nostre soldatesche nelle loro svariate e brillanti divise di gran tenuta; non diremo dell’irreprensibile aggiustatezza delle loro materie e fermate, del bel contegno marziale congiunto in esse ad un aspetto di comparizione e di umiltà religiosa. E siffatto aspetto, e siffatto contegno attirano le simpatie, il rispetto e l’ammirazione non pure de’ concittadini, ma degli stranieri tutti che in gran copia vengono a godere della festa del di otto settembre.
Questo sentimento di ammirazione che sentiamo per le nostre milizie non si scompagna in noi da viva riconoscenza pel nostro Augusto Sovrano che tanti pensieri e tante cure e tanto affetto prodigalizzava per render sempre più bello ed onorando il nome di soldato napolitano.
Istituita dall’immortal Carlo III pel ricupero del Regno, volge ormai più di un secolo che questa festa di Piedigrotta rallegra lo spirar dell’estiva stagione ed il cominciamento dell’autunno. Essa può con ragione addimandarsi la più grande delle feste napolitane, e per la parte che vi prendono tutte le classi della popolazione e per la solennità religiosa, ché, in vero, il ricorrimento del nascimento della Madre di Dio è tale che infonde in tutti cuori sensi di entusiasmo, di amore, di giocondità.
Per toccar qualche cosa della cerimonia militare, diremo che all’una pm. suol cominciare il difilarsi delle milizie, passando dinanzi alla Reggia sotto gli sguardi di SM. il Re, che con SM. la Regina e con tutta la famiglia Reale intrattiensi ad osservarle dalle ringhiere. Le Reali milizie si dispongono quindi in ala lungo la strada che dovrà percorrersi dal Real corteggia. Una salva di tutte le fortezze della capitale e di tutti legni nazionali ed esteri schierati nel golfo dà il segno dell’uscire del Re e della Real famiglia dalla Reggia. È questo il momento più bello e più solenne; un rispettoso entusiasmo muove d’ogni petto alla vista dell’amato Sovrano che adempie in tutta la pompa delle umane grandezze al voto solenne de’ suoi Augusti Genitori.
È noto che in Napoli è tale il desiderio di vedere questa festa, che appo il minuto popolo le mogli fanno porre nelle scritte nuziali la condizione di dover il marito portarle almeno una volta alla festa di Piedigrotta. Il «marito mio portamence» è proverbiale nella nostra plebe; sicché può dirsi che se i forestieri dicon «veder Napoli e poi morire», i Napolitani dal canto loro dicono «veder la festa di Piedigrotta e poi morire».
Ma più che il giorno otto settembre, la vigilia è notevole per gli apparecchi, per lo affaccendarsi delle famiglie, pel trambusto delle case, per le notturne spedizioni, pe’ canti, suoni e balli che rallegrano le vie nel cuor della notte precedente al di della festa. Stuoli di popolani, sciami di contadini, carrozze di gentiluomini e di dame, compagnie di forestieri, veggonsi ingombrare la Riviera di Chiaia, la Villa Reale aperta in questa occasione ad ogni maniera di persona, e pigiarsi appo i dintorni del Santuario di Piedigrotta. Le circostanti campagne, le bettole, le botteghe da caffè sono assediate da’ visitatori; liete danze di forosette s’intrecciano al suono delle nacchere e de’ tamburelli, la tarantella classica e tradizionale spigiega in questa congiuntura la grazia de’ suoi passi, che sono tutta una storia di amori.
Tra i venditori che in questa festività spiegano nelle vie le loro tende, a mo’ degli arabi, primeggia il torronaro, vale a dire il venditore di giocherelli di pasta di miele. Tutto quello che può sedurre i fanciulli è spiegato sul banco di questo venditore che si stabilisce sempre dappresso alle chiese, dove i fedeli sono chiamati in gran numero per qualche solennità e qualche festa. Noto è il proverbio napolitano: «vai currenno come la banca de lu torronaro». I giocherelli di pasta di miele o di mandorlati che questo ambulante industrioso mette in mostra ed in vendita rappresentano per lo più mazzuole, cerchi, cavalli, castelletti, figurine di uomini e di donne ed altro.
F. Mastriani (1857
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- La domenica di quaresima – https://www.ilsudonline.it/laltra-storia-del-sud-un-anno-di-feste-nel-regno-di-napoli-la-domenica-di-quaresima/
- 19 marzo, San Giuseppe – https://www.ilsudonline.it/laltra-storia-del-sud-riscopriamo-le-feste-del-regno-di-napoli-san-giuseppe-e-il-mito-delle-zeppole-di-pintauro/
- Pasqua – https://www.ilsudonline.it/laltra-storia-del-sud-riscopriamo-le-feste-del-regno-di-napoli-la-processione-di-pasqua-dei-lazzaroni/
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