Proviamo ad immaginare cosa realmente non ci è stato descritto della famiglia Bonaparte e dei suoi legami precedenti e successivi all’epopea napoleonica con gli Stati Uniti. Alcuni studi Risorgimentali mi avvicinano ad ipotesi sin qui poco esplorate.
La famiglia di Napoleone Bonaparte nel 1769, quando nacque il futuro Imperatore, aveva le sue radici in Corsica. Ma le origini italiane dei suoi membri, toscane per parte paterna ( Carlo Buonaparte) e genovesi per parte materna (Letizia Ramorino) devono aiutarci a riflettere e stimolare la nostra ricerca.
In Corsica i Bonaparte erano legati ad una famiglia locale molto influente: I Cipriani. Anche loro di origine fiorentina ( lo erano i Bonaparte ma con un ramo familiare toscano presente a San Minato, in provincia di Pisa) in Corsica avevan trovato riparo. La leggenda vuole che un fratello di latte di Napoleone, un Cipriani appunto, sia stato sostituito con l’ex imperatore al momento del suo decesso a Sant’Elena, nel 1821, e che dunque il Napoleone oggi sepolto a Parigi non sia in verità l’autentico Imperatore francese. Che per l’occasione sarebbe fuggito negli Stati Uniti con una nuova identità. Non ci sono prove concrete su tali vicende però moltissime pubblicazioni, anche di storici, parrebbero sostenere situazioni non così lontane da questa possibilità. Mi riferisco al ruolo assunto in Londra da Lord Henry Holland e da sua moglie, durante il periodo napoleonico ( Lord Holland era il plenipotenziario inglese a Firenze) e dopo la caduta di Napoleone nel 1815. Lord e Lady Holland non solo avrebbero aiutato la famiglia Bonaparte ed avrebbero tenuto serrati legami sia con Luciano Bonaparte che con Letizia Ramorino, madre dell’ex Imperatore, fino al 1838, anno della sua morte, residente in Roma, dove Lord Holland le fece spesso visita. Ma su sollecitazione di Lady Holland, che aveva caro l’Imperatore francese considerandolo politicamente un collante con la visione riformista Whig di cui Lord Holland fu promotore ed interprete, voleva in ogni modo che venisse liberato dalla sua prigionia a Sant’Elena e per questo pregava suo marito di intervenire presso le autorità inglesi allora al governo, di stampo Tories, per permetterne la liberazione.
Nulla ci può confermare o smentire se queste sue preghiere siano state ascoltate a Londra. Sta di fatto che i principali membri dei Governi napoleonici in Europa soggiornarono in Holland House, a Londra, dove i due coniugi avevano creato un circolo culturale di stampo europeo, con al suo interno i principali intellettuali progressisti dell’epoca.
I Cipriani, cui ho fatto cenno, ebbero al loro interno un personaggio rilevante in quegli anni, che nel corso del XIX secolo, residente in maniera definitiva in Italia, entrò a far parte come deputato anche del neonato Stato Unitario: Leonetto Cipriani.
La sua vita è davvero un’ avventura, ma il repubblicano Cipriani, legato anche a Giuseppe Mazzini, e l’intera sua vita, devono portarci a serie riflessioni. Un ramo della famiglia Cipriani, giusto ribadirlo, aveva sede in Calabria. Lo sbarco di Gioacchino Murat dunque non possiamo disgiungerlo dal ruolo assunto dai Cipriani nell’intera vicende napoleonica e successivamente nelle questioni risorgimentali. Leonetto Cipriani, prima di stabilirsi definitivamente in Italia, e precisamente a Livorno, aveva vissuto per un certo periodo a Belmont, in California, divenendo qui una sorta di boss locale, e rivestendovi anche il ruolo di Sindaco in città.
Belmont, un nome, un programma. Non ricorda questo nome da vicino la dinastia dei Banchieri Belmont di origine ebraica, prima costola dei Rothschild e successivamente caposaldo bancario a New York, tanto da essere i promotori della stessa Wall Street? Proprio in quei fatidici anni.
A Londra, nel periodo, in Holland House viveva Giuseppe Binda, che nel 1817 si recò a New York, ufficialmente per traffici commerciali, in realtà perché sostenuto da quel Lord Holland che proteggeva i Bonaparte e non solo, fondatore a Londra del partito Whig e promotore negli Stati Uniti della lotta contro la discriminazione razziale.
Una volta giunto a New York, nel 1817, Giuseppe Binda divenne cittadino americano, sposando la figlia del generale Sumter e naturalizzandosi col nome di Joseph Agamemnon Binda.
Divenendo amico proprio del banchiere Belmont.
Sicuramente qualche affinità con Leonetto Cipriani doveva esserci, visto che il Binda era stato l’amato agente segreto di Gioacchino Murat. E che Leonetto Cipriani spesso si trovò a visitare la città di New York.
Non solo, ma Giuseppe Binda nel 1840 si trasferì proprio a Livorno, inviatovi dal Governo americano, dove suo suocero e suo cognato avevano grande influenza, per svolgere il ruolo di console statunitense nel porto labronico, molto importante sia per gli Stati Uniti che per la gran Bretagna in termini economici e politici. E qui il Binda seguì tutte le vicende Risorgimentali dei patrioti toscani, non ultime quelle di Leonetto Cipriani che a Livorno si stabilì in quegli anni.
Nei pressi della sua abitazione livornese Leonetto Cipriani decise di chiamare parte della sua proprietà California in onore della terra che lo aveva visto protagonista oltre oceano.
In Lucca, quindi non lontano da Livorno, peraltro terra di provenienza di Giuseppe Binda, un altro patriota mazziniano, amico di Leonetto Cipriani ( non saprei se anche di Giuseppe Binda, ma suppongo di sì) decise di chiamare una collina adiacente ad una sua proprietà lucchese, sita in Massa Macinaia, col nome di California. E Carlo Massei, questo il suo nome, mai si recò negli Stati Uniti. Presumo che la California ponesse le basi della sua affinità elettiva col Cipriani e dunque con le vicende che sto per descrivere.
Carlo Massei era un riformato. Sua madre apparteneva alla famiglia dei Burlamacchi, coloro che nel Cinquecento a Lucca dovettero in parte recarsi a Ginevra per sfuggire alle regole della Controriforma, visto che avevano aderito al Calvinismo. I Burlamacchi, di estrazione nobiliare come i Cipriani, i Binda ed i Bonaparte, dediti anche a traffici commerciali, come molti cittadini lucchesi avevano visto nel calvinismo la possibilità di tradurre in reali termini di crescita una emancipazione da Roma in vista di una collaborazione europea sia sul piano economico che politico. Del resto Lucca, loro città di provenienza, era da sempre città indipendente, e godeva di una tradizione culturale e religiosa con una sua connotazione “agostiniana”, tanto che effettivamente, come asserisce lo storico Mencacci in “Templari a Lucca”, qui gli ex membri dell’Ordine sciolto da Clemente V nel 1314 continuarono a fare quanto facevano precedentemente. E soprattutto qui erano sempre andati d’amore e d’accordo con due dei principali Ordini della Chiesa Romana, come i Domenicani ed i Francescani. Segno evidente di una qualche autonomia gestionale e di riflesso spirituale. Tant’è che lo storico muratoriano Monsignor Giandomenico Pacchi di Castelnuovo Garfagnana sottolinea nelle sue Dissertanzioni quanto la stessa donazione metilica in Castelnuovo e dintorni mai ebbe una reale valenza politica.
Carlo Massei, particolarmente impegnato nel primo Risorgimento in vicende poco chiarite dagli storici e che ho provato ad individuare grazie ad una tesi di laurea su un religioso lucchese del periodo, che era legato proprio a questi ambienti politici e familiari, padre Gioacchino Prosperi, [1] è testimone diretto di quanto affermo. Soprattutto in ambito partenopeo. Perché se il nord Italia era il luogo deputato in termini geografici a serrare fila e contatti con la vicina Ginevra ed i territori riformati europei, Napoli, da sempre gemellata con Lucca ( I Borbone Parma sul trono lucchese nel 1815 ma anche i legami serrati sul piano musicale ed artistico, nonché religioso che nel Medioevo vide il momento di massima fioritura) luogo deputato per la nomenclatura inglese nel definire traffici ed interessi nella Penisola. Il Porto di Napoli, non meno prestigioso di quello genovese e labronico, si affacciava al centro del Mediterraneo, e la storia pregressa dei Lumi presente nel contesto napoletano ne facevano il luogo adatto a proseguire la storia napoleonica e bonapartista che qui aveva avuto largo seguito.
Vi troviamo grandi intellettuali legati al periodo napoleonico che continuarono dopo la caduta di Murat a proseguire il percorso intrapreso.
Mi riferisco, e i miei studi lo dimostrano, al Vate Gabriele Rossetti; al filosofo Pasquale Galluppi; ai generali risorgimentali, un nome su tutti Guglielmo Pepe; ma anche a quei tenenti Morelli e Silvati che furono giustiziati dopo le vicende patriottiche dei moti del 1821-21.
Il Vate, che a Londra sposerà la figlia del medico di Bientina Gaetano Polidori, ex segretario personale di Vittorio Alfieri, mantenne con la città di Lucca e con i patrioti menzionati serrati legami. [2]
Il filosofo Pasquale Galluppi, opportunamente citato da padre Gioacchino Prosperi nelle sue lettere e pubblicazioni, è punto di riferimento essenziale nel riformismo di quegli anni, non solo di stampo cattolico liberale, ma anche riformato.[3]
Il Generale Guglielmo Pepe fu uno dei referenti prioritari delle questioni politiche napoletane del 1820. Sul patibolo morirono i tenenti Morelli e Silvati. Un Morelli nel corso del XIX secolo era congiunto della famiglia napoletana Pierantoni, di cui un ramo si era stabilito a Lucca. Ed in comunione con padre Gioacchino Prosperi, che li cita nelle sue lettere.
Ma al centro di tutto, come ho avuto modo di definire in precedenti articoli, la figura emblematica del Marchese napoletano del Gallo, che rappresentò un plenipotenziario di rango sia per Gioacchino Murat che per i Borbone napoletani e le cui lettere furono requisite da Lord Bentick nel 1815 a Genova. Il marchese del Gallo era in simbiosi anche con il duca lucchese Carlo Ludovico di Borbone Parma, cugino dei Borbone napoletani, con una sua personale dimora proprio in Lucca.[4]
Il conte Carlo Massei nel 1820 era in Napoli, al momento dei fatti rivoluzionari. E nel 1832 in Corsica, ancora una volta inviato dai Borbone Parma, ufficialmente per questioni di agronomia, in realtà per ragioni politiche legate al partito bonapartista Corso.
Stati Uniti e Gran Bretagna tifavano Borbone, non Savoia.
Una riprova di quanto asserisco nella frase pronunciata da Carlo Alberto di Savoia, ex impenitente bonapartista, che nel 1830 scrisse su suo cugino Carlo Ludovico di Borbone Parma ( aveva il Borbone sposato una cugina del sovrano sabaudo) voleva fare il re d’ Italia.[5]
Al centro di tutto un Vaticano non così distante da queste posizioni. Primo fra tutti il Cardinale Bartolomeo Pacca, che padre Gioacchino Prosperi cita opportunamente nelle sue lettere e pubblicazioni. Sepolto in Roma, nella chiesa che appartiene ai chierici Regolari lucchesi. Amico intimo di Luciano Bonaparte e dei suoi figli che guidarono queste operazioni. Un Bartolomeo Pacca che di madre faceva Malaspina ( i Malaspina furono legati in via parentale ai Bonaparte).
Nella sua Benevento Bartolomeo Pacca lottò sicuramente contro lo strapotere dei Bonaparte ma poi si rese conto che con la Restaurazione era opportuno remare verso posizioni più riformiste, e le vicende mai del tutto chiarite di uno dei suoi nipoti che fuggì a Parigi in epoca napoleonica potrebbe, il condizionale è d’obbligo, dimostrarlo.
Ancora una volta la Toscana dei Bonaparte, dei Cipriani, dei Massei e dei Burlamacchi, dei Binda, dei Pierantoni napoletani qui naturalizzati, ma anche dei Malaspina invitano ad una accorata riflessione.
Il “Riformato” Napoleone Bonaparte, che aveva salvato come prima di lui i patrioti rivoluzionari francesi la chiesa parigina di Saint Jacques du Hot Pas, non violandola mai, chiesa che contiene le spoglie mortali del massimo collaboratore di Giansenio e che fu proprietà fino al cinquecento dei Cavalieri altopascesi del Tau, deve ancor più condurci a riflessioni storiche accurate. A partire dal XIX secolo i capitali che confluirono per le vicende italiane non furono solo inglesi. Dall’Atlantico al Pacifico un modo per allargare gli orizzonti mediterranei.
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[1] Invito a verificare in rete le mie affermazioni. Tesi su Tesi on line e sito storico www.storico.org
[2] Archivio di Stato di Lucca, Legato Cerù, rif. 18. Lettera del 1839 a Pier angelo Sarti.
[3] Padre Gioacchino Prosperi, “La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola”, Bastia editore Fabiani, 1844.
[4] Via del Gallo palazzo del Gallo. Lucca. Ma anche vedere pubblicazione del dottor Giulio Quirico, “ In novarese Michele Parma….” Novara, editore Ladolfi 2020, in appendice breve saggio sul Duca borbonico lucchese.
[5] Giulio Quirico, cit.