L’acqua di casa contiene una concentrazione di floruri al di sopra dei limiti consentiti di legge, il che la rende non potabile? Vi è la possibilità, per ogni cittadino, di chiedere un congruo risarcimento. Risarcimento che consiste nell’obbligo, per il gestore del servizio idrico, di dimezzare il canone mensile e di corrispondere una somma di indennizzo che tenga conto del fatto che gli utenti sono stati costretti a dover acquistare costose confezioni di acqua potabile. In tali casi – sottolinea la sentenza in questione – bisogna rivolgersi al giudice ordinario (non quindi al giudice amministrativo): la causa ha infatti ad oggetto un contratto di somministrazione che appartiene alla categoria dei contratti civilistici, a prestazioni corrispettive. Dunque, il gestore del servizio risulta inadempiente all’obbligo contrattuale: l’acqua dannosa, infatti, non può essere bevuta. Pertanto, oltre a non rendere il servizio promesso, la società erogatrice lede il diritto alla salute degli utenti. Le conseguenze, secondo il giudice di pace, sono due e assai pesanti: 1. il dimezzamento delle bollette (conseguenza di una rigida applicazione del codice del consumo) 2. un risarcimento secondo equità di mille euro (posta l’oggettiva difficoltà di stabilire i consumi di bottiglie di minerale pro-capite che gli utenti sono stati costretti ad acquistare per poter bere).