Alessandro Corti

E’ facile lasciarsi trasportare dall’onda di emotività sollevata dalla tragedia di Trieste. Spetta agli inquirenti fare chiarezza, capire le cause, spiegare come sia stato possibile l’assassinio di due uomini in divisa negli uffici di una Questura. Ma il dramma triestino lascia non solo una scia di dolore e di amarezza. Anche di preoccupazione e di sconcerto. Il 27 luglio, a Roma, era toccato al carabiniere Mario Cerciello Rega cadere sotto i colpi di coltello di un giovane americano, nel quartiere residenziale di Prati. E, anche in questo caso, come a Trieste, all’origine del dramma ci sarebbero reati, per così dire, minori. Niente a che vedere con vicende di mafia, ‘ndrangheta o terrorismo. Il furto di uno scooter a Trieste, una vicenda di droga nella Capitale. Episodi da routine, verrebbe da dire, incidenti di trasformati in tragedie. In conclusione, una fatalità. Sarebbe, però, una diagnosi non solo frettolosa ma anche sbagliata.

C’è un problema sicurezza che tocca, in prima persona, gli agenti, gli “angeli in divisa” che sono quotidianamente in prima linea e che mettono a repentaglio la loro vita per uno stipendio che, a volte, fa davvero venire voglia di cambiare lavoro. Nei primi otto mesi di quest’anno sono state già cinque le vittime fra le forze dell’ordine. L’anno scorso, dodici. Ma, quello che più impressiona è il numero dei feriti: 2646 poliziotti e 1517 carabinieri, in media undici al giorno. Una guerra invisibile, che sfugge ai “radar” dei media se non quando si trasforma in tragedia, come è successo a Trieste o a Roma, per ricordare i casi più recenti.

Se questi sono i numeri, non è solo fatalità. C’è dell’altro. Le forze dell’ordine, come tutti gli altri settori del pubblico impiego, sono da tempo finiti nel mirino dei “tagli alla spesa”, con una riduzione degli organici del 20%. Un sacrificio necessario ma, ci sono casi in cui i risparmi andrebbero fatti con molta attenzione. Sono anni che Polizia e Carabinieri chiedono, ad esempio, di essere muniti di strumenti moderni come i “taser”. Vorrebbero corpetti anti-proiettile sottocamicia o le body-cam, da piazzare sulle auto o nei luoghi dove si opera con persone sottoposte a misure di sicurezza. Senza contare, poi, il sistema giudiziario, l’estrema lentezza dei processi che rende incerta perfino la “certezza” della pena. E’ vero che nell’ultima manovra c’è stata un’inversione di rotta, con l’avvio di nuovi concorsi e l’arrivo di nuove risorse. Ma sarebbe davvero utile, una volta tanto, mettere da parte emotività e polemiche e aprire un tavolo di confronto sui temi della sicurezza delle forze dell’ordine. Sarebbe un bel modo per non dimenticare, le tante, troppe divise insanguinate di questi anni.