Ogni anno in occasione della “Giornata del Ricordo”, emergono nuovi particolari, notizie, informazioni, documenti sulla tragedia degli italiani uccisi e scaraventati nelle foibe dell’Istria , Dalmazia e Venezia Giulia, tra il 1943-45.
Quest’anno il quotidiano Il Giornale, ha pubblicato un saggio dal titolo «Verità infoibate. Le vittime, i carnefici, i silenzi della politica», di Fausto Biloslavo e Matteo Carnieletto, con prefazione di Toni Capuozzo. Sempre Il Giornale nel 2015, aveva pubblicato un saggio sulle foibe, scritto da Giuseppina Mellace.
Il testo curato da Biloslavo e Carnieletto è corredato da una serie di disegni con dei Qr-code per ascoltare e vedere contenuti, video, documenti.
Per quanto mi riguarda ho letto e recensito almeno cinque libri sul tema delle foibe, in più ho letto una serie di articoli. Pertanto da tempo ho una discreta conoscenza sull’argomento. Con il testo del 10 febbraio scorso, offertoci da Il Giornale, ho aggiunto altre informazioni che non conoscevo. Mi riferisco al cimitero nascosto, nella piccola Slovenia, «il più impressionante d’Europa: una fossa o foiba ogni ventisette chilometri quadrati con una media di centotrentacinque vittime ciascuna, secondo le stime di una commissione governativa». Probabilmente gli italiani dentro queste fosse slovene non sono moltissimi. Si tratta di prigionieri a stragrande maggioranza sloveni, croati e serbi. Tutta gente che ha combattuto dalla parte sbagliata o civili, vittime di una pulizia etnica perpetrata dai partigiani comunisti del maresciallo Tito.
La commissione governativa di fosse ne ha già individuate 750, riesumate migliaia di vittime passate per le armi come “nemici del popolo” dalle squadre di eliminazione titine.
Il massacro multietnico di carattere politico nella sola Slovenia conta almeno 100 mila vittime. Adesso dopo più di settant’anni sembra che si voglia far luce su queste vittime scaraventate in fosse comuni. In particolare, in Italia, il senatore Maurizio Gasparri si sta interessando e spinge perchè si possano recuperare i resti dei nostri connazionali. «La Slovenia è costellata di luoghi dell’orrore, che sono rimasti tabù fino all’indipendenza degli anni Novanta. Huda jama, soprannominata caverna del diavolo è la tomba di 1.416 vittime».
Il sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna, ha scritto al Governo e al governatore Massimiliano Fedriga, facendo presente che ormai i tempi sono maturi «per per dar vita a un gruppo misto italo-sloveno che cerchi di scoprire quali e quanti italiani, prevalentemente della Venezia Giulia, siano stati infoibati oltre confine».
Il libro denuncia che nonostante tutto, c’è ancora gente che non solo nega la realtà delle foibe, ma addirittura inneggia alle foibe, e peraltro si registrano ben venticinque episodi di vandalismo e oltraggi a targhe e simboli delle foibe in occasione della giornata del 2020.
Il testo ben documentato si occupa anche dei carnefici, a cominciare dall’artefice numero uno: Josip Broz Tito, della sua polizia segreta, l’Ozna, La IX Corpus titina che ha occupato terrorizzando per quaranta giorni Trieste. Come se non bastasse, nel 1967, Tito è stato vergognosamente, decorato Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica italiana, dal governo italiano. Per non parlare delle strade dedicate al dittatore criminale jugoslavo.
Nel Quarto capitolo, il testo si occupa degli uomini del dittatore, che non solo sono stati colpevoli di crimini orrendi nei confronti degli italiani, ma il nostro governo, l’Inps, ha elargito vergognosamente, delle cospicue pensioni. Nel testo si scrive che sono state pagate per legge ben 32.000 pensioni agli jugoslavi. Si fanno i nomi che tra l’altro conoscevo già, almeno quelli che il giudice Pititto ha cercato di portare in tribunale. Negli anni novanta ne avevo citato alcuni in un Dossier che ho curato per gli amici del Circolo culturale “Tradizione, ambiente e cultura” di Giardini Naxos (ME). I più conosciuti sono Ivan Motika, il “Priebke delle foibe”, chiamato anche il “boia di Pisino”. L’altro è Oskar Piskulic, il capo della temuta Ozna, ma ce ne sono altri, come Ciro Raner, Mario Toffanin, Guido Climich e tanti altri legati all’Italia, per questo hanno goduto della pensione, sostanzialmente “infoibatori a carico dei contribuenti”.
Pare che in Istria i vari sindacati o patronati utilizzavano addirittura i furgoncini con i megafoni per invitare a presentare la richiesta della pensione all’Inps. Ad oggi, continuiamo a spendere 18 miliardi di lire al mese per erogare le pensioni agli jugoslavi, compresi i criminali di guerra delle foibe.
Naturalmente il libro riporta le testimonianze dei sopravvissuti, ma anche le storie di quelli che hanno perso la vita, come la giovane studentessa universitaria Norma Cossetto, che equivale ad Anna Frank della Shoah. E poi gli esuli, costretti ad abbandonare forzatamente le proprie case dell’”Istria rossa”. Esuli che sono stati alloggiati in campi di raccolta in diverse città italiane.
Il testo fa riferimento al film Red Land, ma soprattutto alla rappresentazione teatrale del cantautore Simone Cristicchi, “Magazzino 18”, che peraltro si è visto stroncare la carriera per averlo prodotto. Tra le testimonianze del libro ci sono quelle di Nino Benvenuti e Alida Valli.
Sono presenti altri particolari che meritano essere conosciuti e fanno riflettere come l’ammirazione dell’attuale presidente degli Usa, Joe Biden per il maresciallo Tito.
Un altro aspetto che viene preso in considerazione nel libro è che negli anni ’70, la Jugoslavia di Tito era diventata una centrale del terrorismo internazionale, compresi anche i nostri brigatisti rossi. Erano presenti delle vere e proprie scuole di terrorismo.
Infine il libro pubblicato da Il Giornale, si occupa di quell’altra faccia della guerra, mi riferisco alla contrastata guerra tra comunisti italiani e jugoslavi. In particolare al massacro della brigata partigiana, “Osoppo” nell’imboscata a Porzus.
Un ultimo aspetto della spietata seconda guerra mondiale che non conoscevo, riguarda la questione del commercio dei piastrini, dei nostri soldati dispersi che non sono ritornati dalla campagna di Russia. Esiste un vero e proprio business della memoria sulla rete.
DOMENICO BONVEGNA