Ci sono rivoluzioni silenziose che nessuna censura e nessuna forza conservatrice o religiosa può fermare. Quello che è successo ieri in Iran non è che la conferma di una regola ben nota ai politici. La netta affermazione delle forze riformiste, forse al di là di ogni più rosea aspettativa, è infatti un segnale importante. E non solo per il Paese guidato da Hassan Rohani. Ma anche per quell’ampio segmento di società “civile” che ha deciso di chiudere i ponti con il recente passato estremista, che ha trovato il suo acme nel duello sul nucleare.

Per capire l’esatta dimensione del risultato elettorale e della sconfitta dei cosiddetti “principalisti”, l’ala più conservatrice ed estremista del Parlamento, è sufficiente solo un dato: Ahmad Janati, presidente del Consiglio dei Guardiani, l’organismo che controlla il Parlamento e il voto, secondo le prime proiezioni, sarebbe solo al decimo posto fra gli eletti. E, addirittura due posizioni più in basso, si sarebbe piazzato Mohammad Taqi Mesbah Yazdi, conosciuto come “il religioso per cui non conta nulla quello che pensa il popolo”.

In cima alla classifica, invece, c’è la nutrita pattuglia di riformisti e moderati, riuniti nella “Lista della Speranza” . Un risultato straordinario se si pensa che i candidati in lista sono stati tagliati per il 90% dal Consiglio dei Guardiani mentre all’ex presidente Mohammed Khatami, è stato vietato ogni presenza in tv, sia pure in fotografia. Divieto aggirato attraverso i social network, che si confermano ancora una volta un’arma a prova di ogni censura.

La verità è che dopo gli anni di crisi e dei sacrifici, imposti non solo dalla crisi economica ma anche dalle sanzioni internazionali decise nel 2006 e diventate addirittura più aspre nel 2012, il popolo iraniano ha scelto di cambiare rotta. E di scommettere sul dialogo con l’Occidente. Una strada sicuramente resa più agevole dalla fine dell’embargo sancita, nei mesi scorsi, dalla comunità internazionale dopo l’accordo sul programma nucleare e dal tour europeo (con tappa anche in Italia) del presidente Rohani.

Da questo punto di vista, il risultato iraniano è una buona notizia anche per l’Europa e in particolare per l’Italia, il secondo partner commerciale dell’Iran dopo la Germania. Solo per avere un’idea dei volumi in gioco, nel 2014, anche durante le sanzioni, l’interscambio con  Teheran ha continuato a viaggiare sui 7 miliardi di euro. Volumi che ora, naturalmente, potrebbero lievitare portando una boccata d’ossigeno alle nostre aziende più orientate verso l’export. Palazzo Chigi sta già studiando nuove missioni di imprenditori italiani per incoraggiare investimenti in Iran ma anche per attrarre nuovi capitali.

Sarebbe sbagliato, però, ridurre il risultato elettorale all’interno del perimetro dell’economia. Un Iran orientato verso le riforme può diventare un fattore di stabilizzazione in un mondo dove il rischio di una “guerra fra civiltà” diventa giorno dopo giorno più reale, con conflitti che sono ormai arrivati anche alle porte del nostro Paese.

Fonte: L’Arena

Di Antonio Troise

Giornalista professionista, blogger, editorialista, comunicatore e un passaggio obbligato dalla carta stampata al digitale.