Antonio Pitoni
La resilienza è la capacità di resistere alle avversità. Di fronteggiare e reagire a tutti gli eventi traumatici o stressanti che ci possono capitare, riducendone gli effetti negativi collaterali: nelle relazioni, al lavoro, nella salute e nelle esperienze difficili della vita (un lutto, la perdita del lavoro, o anche le calamità, siano esse terremoti, alluvioni o pandemie). Vari fattori individuali e di contesto socio ambientale, in interazione tra loro, fanno sì che la resilienza sia positiva ed efficace (autostima, adattamento, ottimismo, riconoscimento degli altri e senso di appartenenza, ecc.), e la resilienza è una capacità che muta con il tempo, al variare delle condizioni. Un altro elemento positivo di una buona resilienza è che può farci uscire addirittura migliorati da un evento negativo, risvegliando dentro di noi nuove risorse personali.
Il prolungato confinamento che ha coinvolto tutti in questo periodo, in conseguenza dell’emergenza sanitaria, è un’esperienza stressante e traumatica che, per quanto sostenuta dalla sollecitazione del senso di responsabilità, dall’incoraggiamento e dalla presenza costante delle istituzioni, e dalla necessità di proteggerci dal rischio di morire, ci ha posto di fronte a privazioni, isolamento sociale, limitazione dello svago, della comunicazione, della libertà personale, quando non da lutti, da sofferenze, da malattia, ricoveri e cure sanitarie. Queste ultime hanno inciso sul nostro senso di sicurezza e hanno minato le nostre certezze quotidiane, muovendo comunque nel profondo di ciascuno di noi paure, senso di precarietà, incertezza e vulnerabilità. Ecco che qui entra in gioco la resilienza, come fattore di protezione e di difesa, sia nella fase acuta che in questa fase di ripartenza. C’è chi ne uscirà già pronto a rimettersi in gioco, e chi avrà bisogno di essere accompagnato e incoraggiato, e chi rischia o teme di essere lasciato indietro. Ma la sicurezza e il benessere collettivo sono dati dal benessere di tutti, o quanto meno della stragrande maggioranza: una corrispondente immunità sociale di gregge, che difende dalla marginalità sociale, dalla devianza, dalla dispersione scolastica, dalla precarietà lavorativa, o lavoro nero e dall’arretratezza.
Tra tutti, chi è pronto a rimettersi in gioco e chi meno, possiamo considerare due principali categorie, così come sono definite in questi giorni: i garantiti e i non garantiti, per la collocazione sociale e per il lavoro. E i secondi, che possono avere una ridotta resilienza, e meno in grado di limitare gli effetti dannosi dello stress da isolamento, non devono essere troppi, altrimenti non si sviluppa l’immunità, e l’incertezza circola per tutti, lasciando il benessere dei primi, apparente e viziato. Questo è il motivo per cui tutti i garantiti devono tornare, in sicurezza, al loro posto, di modo che le risorse straordinarie siano destinate principalmente ai non garantiti, che vanno incoraggiati a ripartire e camminare insieme a tutti, e non lasciati indietro.