Antonio Troise
Chissà se anche questa volta, come già successe nel 2008 con Bush, il nuovo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, invocherà l’ennesima “pistola fumate” nelle mani di un dittatore per giustificare un’offensiva militare. Un fatto è certo: dopo mesi e mesi di stallo, la Casa Bianca ha deciso di muovere le sue pedine. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’ennesimo e intollerabile attacco chimico a Duma. Una strage, per ora senza colpevoli ufficiali, che ha sollevato un’ondata di indignazione a livello mondiale e spinto il presidente americano a rompere ogni titubanza diplomatica, annunciando una “risposta forte” nel giro di 48 ore al massimo. Non basta. Per chiarire una volta per tutte che questa volta non ci saranno sconti per nessuno, Trump ha anche spiegato che saranno colpiti i responsabili dell’azione, anche se si trattasse di Putin, del leader siriano Assad o del governo di Teheran. Quanto basta per trasformare lo scacchiere mediorientale sempre di più in una polveriera pronta ad esplodere.
E’ proprio da questo punto di vista che, allora, va letta la nuova offensiva di Trump. Un attacco, per il momento, più mediatico che militare ma che, sostanzialmente, ha un obiettivo ben preciso: cercare uscire da quella situazione di stallo che di fatto, fino ad oggi, aveva impedito alla comunità internazionale qualsiasi forma di intervento rispetto alle atrocità vissute quotidianamente dalle popolazioni civili iraniane. Da una parte la Russia, interessata a mantenere ben saldo il potere di Assad in Siriae a difendere a tutti i costi l’accordo di pace lanciato a Sochi con la partecipazione dei suoi due nuovi alleati di rango, l’Iran e la Turchia. Dall’altra parte gli Stati Uniti, ormai in rotta di collisione con il suo principale partner europeo, Erdogan, impegnato in una dura offensiva nella regione di Afrin contro i curdi dell’Ypg, finora appoggiati da russi e americani in funzione anti Isis.
Per ora le contrapposizioni fra Putin e Trump nell’area mediorientale, erano rimaste, per così dire, sottotraccia, senza che i due colossi scendessero direttamente in campo ingaggiando un duello potenzialmente in grado di deflagrare in un conflitto di più ampie proporzioni. Un difficile esercizio di equilibrismo che ora le armi chimiche di Assad e il nervosismo israeliano per la crescente presenza iraniana in Siria e Libano, potrebbero mettere seriamente in bilico. Ma, proprio per questo, rischia di essere ancora più grave l’assoluta incapacità del Vecchio Continente di giocare un ruolo sul difficile scacchiere mediorientale Forse, mai come in questo momento, per mettere un freno alle nuove tensioni geopolitiche, occorrerebbe davvero più Europa. O, almeno, un’Europa che riuscisse a battere almeno un colpo. E’ chiedere troppo?