Ci sentiamo vicine.
Sì, ci sentiamo vicine
noi, donne più libere
a voi, donne Afgane.
Nella storia di donna,
di ogni donna,
c’è la venere di Willendorf,
di quei tempi in cui
femmina
era simbolo di nascita
e salute.
Finché l’uomo ha capito
di essere padre
e che da lui proveniva la prole.
Ha imparato,
nel tempo,
anche ad amare,
quell’esserino fragile e impotente
che però lo distingueva
tra la sua gente
per il potere della fecondità.
Per ogni donna un uomo
e nove mesi di attesa.
Per un uomo,
volendo,
cento donne
e tanti figli nati
tutti suoi.
Ecco perché,
da venere,
da divinità,
siamo cadute
e divenute schiave.
La risalita non è stata vana,
però neanche la sappiamo uguale.
Ci fu un Uomo,
che ci provò
a salvare
dai sassi la reietta,
eppure,
in Afganistan ancora muore
lapidata dall’odio
e dal rancore,
la donna di Gesù.
Non c’è virtù che salvi
il femminino.
Muore d’odio anche oggi
e di vendetta,
di gelosia,
di rabbia,
di passione
che l’uomo chiama amore
e, invece,
è solamente fame di possesso.
Ancora donna/oggetto,
temuta e corteggiata,
ella ritrova posto
in una civiltà di compromesso
e sempre un po’ osteggiata.
In alcune civiltà
viene evirata
perché non goda d’uomo.
In altre per aborto
selezionata,
perché non nasca al mondo.
Noi, d’Europa,
viviamo certo meglio l’avventura,
ma nel mondo globale,
per tante e tante donne è ancora,
ben viva la paura.
Pensieri Afgani.