Tra le letture estive ho messo insieme tre pamphlet sull’Islam e i risvolti terroristici scritti da giornalisti più o meno conosciuti.
In ordine di lettura: «L’Islam in redazione», il sottotitolo è ancora più significativo: «Perché è vietato dire che il terrore è islamico e che l’islam non è una religione di pace». (Società Editrice La Verità, 2017). Autori del testo Maurizio Belpietro e Francesco Borgonovo, entrambi lavorano a La Verità.
Il 2° testo di Vittorio Feltri, «Non abbiamo abbastanza paura». Sottotitolo: «Noi e l’Islam», (Mondadori 2015). Il 3° testo di Loretta Napoleoni, «Isis. Lo stato del terrore». «Chi sono e cosa vogliono le milizie islamiche che minacciano il mondo», (Serie Bianca-Feltrinelli, 2015)
Il video di qualche giorno fa dove appare Alessandro Sandrini il 32enne bresciano ostaggio di jihadisti dell’Isis o di qualche altra organizzazione terroristica in Siria ci ricorda che ancora è lunga la battaglia per sconfiggere il terrore islamista. Anche dopo l’apparente sconfitta dello Stato jihadista dell’Isis di al Baghadadi, ci si interroga se bisogna temere ancora il terrore islamista. Leggendo i testi sembra di si, anche se da qualche settimana, il tema terrorismo è passato nelle pagine interne dei giornali.
Nel testo di Belpietro e Borgonovo, si trovano toni abbastanza polemici nei confronti di chi non crede al pericolo islamista. Nell’introduzione gli autori sottolineano la sudditanza della stampa italiana nei confronti dell’Islam. «Tutti hanno a dire e scrivere», tranne quelli che criticano l’islam; è capitato ad alcuni giornalisti, tra questi a Belpietro ed altri. Mentre chi sostiene che il termine «cristiano», derivi da «cretino», allora a nessuno è venuto in mente di denunciarlo.
Il libro ripercorre nei vari capitoli i più recenti fatti di sangue, causati dal terrorismo islamista. «Ci siamo abituati. Ogni volta che c’è una strage, ogni volta che i morti si ammucchiano, ecco ritornare il chiacchiericcio. Gli assassini gridano “Allah Akbar”, ma i politici, i giornalisti, gli intellettuali, i leader delle associazioni islamiche rispondono: “No, non è islam”. La loro ostinazione farebbe esasperare persino gli stessi terroristi, – scrivono gli autori- i quali ormai non sanno più cosa inventarsi per dimostrare di essere islamici».
E’ un massacro continuo, scrivono Belpietro e Borgonovo. Nel 2015 è stato l’annus horribilis della Francia e non solo. Il 7 gennaio i terroristi islamici fanno irruzione nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo, a Parigi, causano 12 morti. Il 9 gennaio un terrorista prende in ostaggio una decina di persone e ne uccide quattro in un supermercato. Il 14 febbraio a Copenaghen, in un caffè, in una sparatoria muore un uomo. Il 18 marzo al Museo del Bardo a Tunisi, muoiono 24 persone, perlopiù turisti. Poi il 26 giugno viene colpita ancora la Tunisia, in un villaggio turistico, rimangono sulla sabbia 39 morti.
Il 13 novembre, Parigi è sotto attacco. Ci sono vari blitz coordinati dei terroristi. Ci sono attacchi allo Stade de France, alcuni bar e ristoranti e soprattutto il locale notturno del Bataclan. Si assiste a un massacro, alla fine resteranno sul terreno 130 morti. Se non è guerra questa? «E’ la più cruenta aggressione in territorio francese dalla Seconda guerra mondiale».
Nel 2016 si inizia in Belgio, il 22 marzo si contano 31 morti e 300 feriti a Bruxelles all’aeroporto di Zaventem e alla stazione metropolitana di Maalbeek.
L’elenco degli attentati, o meglio, dei fatti di guerra continua, in Turchia una donna Kamikaze si fa saltare in aria causando 41 morti. E poi a Dacca in Bangladesh, dove muoiono ben 9 italiani, di cui si sono dimenticati in tanti a cominciare dai politici.
«Cambia l’anno, non la tragica contabilità del terrore», scrivono Belpietro e Borgonovo.
Di tutti questi attacchi e veri fatti di guerra, «oltre che dall’orrore e dal puzzo della morte, è stato accompagnato da una bella dose di ipocrisia». Questo dell’ipocrisia è uno dei peggiori mali del nostro Occidente. Chi osa opporsi al sentiero tracciato nelle redazioni che contano, viene ostracizzato come l’intellettuale francese Eric Zemmour. Questo giornalista di origine ebree, critica dell’islam, ma soprattutto il sistema di vita degli europei, la loro femminilizzazione, che conduce inevitabilmente allo sfascio e alla sottomissione davanti a civiltà mascoline fino al machismo, come quella islamica. Zemmour è stato condannato per islamofobia da un tribunale francese a tremila euro di multa per istigazione all’odio nei confronti dei musulmani.
I due giornalisti fanno altri esempi di condanne per istigazione all’odio. Tra i tanti c’è la leader del Front National Marine Le Pen e poi Yves de Kerdrel, direttore della rivista francese Valeurs Actuelles. Si denuncia l’invasione migratoria, l’espansione isalmica, la mancanza di sicurezza, e per questo viene portato in tribunale. Il libro ricorda la vicenda di Ayaan Hirsi Ali, cittadina olandese, di origine somala, che ora vive negli Usa. Ha collaborato col regista Theo Van Gogh al film Submission, che si occupava delle condizioni delle donne musulmane. Van Gogh è stato ucciso a coltellate da un fanatico marocchino, lei vive sotto scorta.
La battaglia contro il terrorismo islamista si vince con le idee, con la cultura, non basta rispondere alla violenza jihadista con le armi. E’ stato un grave errore per Ayaan Hirsi Ali. Il nostro nemico non è solo l’Isis, ma è quell’«islam politico, quello che punta – senza fucili – a islamizzare le nostre società». Pertanto «sostenere che i nostri nemici siano i terroristi significa ignorare la vastità del problema I jihadisti armati, infatti, restano una minoranza». Quello che dovrebbe preoccupare sono i tanti musulmani che sostengono le minoranze di terroristi. Sono quelli che vogliono imporre la sharia ovunque, anche in Occidente. «Dobbiamo cambiare obiettivo – dice Ali – fermare con i mezzi militari e ‘intelligence tutti i radicalizzati potrebbe rivelarsi impossibile […]No, la soluzione è distruggere alle radici la malattia dell’islam radicale, colpndo gli ideologi e i propagandisti[…]».
Certo nel libro non si vuole sostenere che tutti i musulmani sono terroristi, ma si cerca di dare un quadro concreto della situazione.
Il testo mette in discussione il concetto che l’islam è una religione di pace, questa è una frase proverbiale, che viene ripetuta incessantemente. Gli assassini non sono veri musulmani. Il libro smentisce questa bugia, rifacendosi a un poeta arabo chiamato Adonis.
Altre bugie smascherate nel libro sono quelle che i terroristi sono figli del disagio sociale, delle disuguaglianze, il terrorismo è figlio della povertà, e dopo che tanti studi specialistici hanno smentito questa tesi. Si dice che i terroristi sono figli del disagio mentale. Così tutti i fondamentalismi sono uguali, sono sempre degli spostati.
Per Belpietro e Borgonovo è in atto una guerra di religione, per questa tesi riportano alcuni episodi, come quello del 26 maggio 2017, quando in Egitto, è stato attaccato un pulman di pellegrini copti diretti a un santuario, qui sono stati colpiti tutti i cristiani. La stessa cosa capitò in un college universitario in Kenia, i studenti cristiani furono tutti massacrati. Naturalmente si possono fare altri esempi. Tra l’altro per i terroristi siamo tutti «crociati», come gli adolescenti inglesi al concerto di Ariana Grande. E poi perché si tiene in carcere ancora la povera donna cristiana pakistana?
Inoltre nel libro si dedica un capitolo al genocidio dei cristiani, una parola che fa paura.
La seconda parte de L’Islam in redazione si occupa delle questioni culturali. Quale deve essere la nostra risposta, di fronte alla minaccia terroristica islamista. «Siamo tutti Charlie»; «continuiamo a ballare», dopo gli attacchi al Bataclan, e al concerto di Ariana, assolutamente no. E il libro polemizza molto con il compagno, il fidanzato del poliziotto francese assassinato, Xavier Jugelè. «Non avrete il mio odio», ha detto Etienne Cardiles, alla cerimonia di commemorazione del suo fidanzato defunto.
Inoltre il testo mette in discussione la questione che se i jihadisti sono così spietati la colpa è nostra, di quei razzisti che alimento l’odio, lo scrivono i mezzi di comunicazione cosiddetti mainstrem. E’ la tesi dei cosiddetti “opposti estremismi” che si fomentano a vicenda. E allora ci sono quelli che mettono sullo stesso piano i cosiddetti populisti, la destra con i jihadisti.
Belpietro e Borgonovo polemizzano con quelli che strumentalizzano le due giovani donne uccise dal terrore islamista: Fabrizia de Lorenzo, morta a Berlino e Valeria Solesin, morta al Bataclan di Parigi. Sono vittime due volte. «Non ci siamo resi conto che questi giovani non sono gli eroi di una battaglia di tolleranza a favore del cosmopolitismo. Al contrario, sono le vittime di un sistema di pensiero mortifero e assassino. Che infatti si è abbattuto su di loro e sulle loro povere famiglie».
Il testo affronta il vittimismo dell’Occidente. C’è sempre qualcuno che punta il dito sulle «responsabilità dell’Occidente». E qui si scrive che il jihadismo spesso si basa sul risentimento, sull’idea che i musulmani siano maltrattati dall’Occidente, che li bombarda nei loro Paesi e li discrimina quando si trasferiscono altrove. E qui per battere il vittimismo serve condurre una battaglia culturale. Bisogna rimettere al loro giusto posto le vittime e i carnefici. Bisogna ammettere che il multiculturalismo europeo è fallito, i fatti di Colonia, la città dove le donne nella notte di Capodanno del 2016 sono state pesantemente molestate da immigrati prevalentemente di cultura musulmana.
Il vittimismo è una visione alimentata dalla sinistra europea, che vede nell’immigrato o nel musulmano un proletario vittima dello sfruttamento capitalista e imperialista.
Il libro fa altre importanti riflessioni per il momento mi fermo e passo all’altro volume di Vittorio Feltri, «Non abbiamo abbastanza paura», un libro fortemente polemico nei confronti degli uomini e donne occidentali, che di fronte agli attacchi terroristici continuano a non capire o a far finta di essere al sicuro.
Certo Feltri si rende conto che non si comincia un libro con questo titolo, «non è molto nobile», tuttavia Feltri lo ribadisce più volte: ha paura di questi uomini vestiti di nero che ci attaccano ovunque. «Non c’è bisogno di essere arabisti per capire, anche senza assaporarne i suoni aspirati, che il Corano ha in sé una potenza distruttiva assoluta verso chiunque manifesti un sussulto di libertà e dica no al dominio di un libro che si è fatto Dio, così come si sono fatti suoi boia coloro che lo impugnano». Feltri nel testo si richiama continuamente al coraggio di Oriana Fallaci, con lei nel 2006 se ne è andato il coraggio degli italiani. Prima di morire la giornalista, con forza raccomandava a Feltri di battersi contro l’islam: «me lo devi, solo tu puoi. Tu e Ratzinger».
Feltri vede nel mondo musulmano organizzato militarmente (al-Qaida. L’Isis e tutto l’arcipelago combattente islamista) come nostro nemico che cerca di conquistarci militarmente, ma anche pacificamente. Anche Feltri ripercorre a grandi linee i vari attentati terroristici che hanno colpito le nostre città. L’attentato alla sede della rivista satirica parigina «Charlie Hebdo», è quello più grave forse, perchè colpisce uno dei principi cardine della democrazia occidentale: la libertà di espressione. Feltri ripete quello che ha scritto nei suoi libri la Fallaci: c’è in atto uno scontro mortale di civiltà.
Pertanto bisogna aver paura e questa paura secondo Feltri, dev’essere inculcata anche ai bambini, che devono conoscere la verità. «Se vince l’islam, nella versione dei tagliagole o in quella dei predicatori nelle nostre moschee, non c’è differenza, e passa la legge coranica, la famosa “sharia”, sconosciuta ai più,niente “Topolino” e niente fotine e poster. Ma è finita anche con i giochi elettronici, con tutte quelle figure che si agitano sul video».
Bisogna farlo sapere a scuola che cos’è l’islam, farlo sapere ai bambini, anche ai compagni di banco marocchini.
Il testo polemizza con gli intellettuali, quelli che hanno gli occhialini, che sono mezzi teologi e mezzi islamologi, che hanno l’esclusiva occupazione di giornali, librerie, scuole, università, chiese e tribunali. Sono quelli che credono al multiculturalismo. «Perché, grazie alla magia del suo nome, ha il pluralismo incorporato, e dunque chi eccepisce si pone fuori dal consesso democratico. E’ una specie di partito unico, essendo già multipartitico nel nome». Per Feltri stiamo assistendo a una pre-invasione, un «pasturaggio culturale», che funziona come una specie di fumisteria di oppio. «Intasa le menti con la leggenda di un islam fiabesco, profumato di spezie, con tappeti volanti e il cielo stellato sopra bianchi minareti, insozzato dalle cattiverie occidentali».
Feltri non fa sconti a questi intellettuali, che peraltro in questi giorni manifestano contro il “mostro” Salvini, colpevole di tutto quello che succede sulla terra.
E’ colpa dell’Occidente se questi ragazzi, questi uomini armati, questi presunti islamici, ci sparano addosso. Siamo noi che li abbiamo provocati con le nostre satire, con le nostre immagini, come quella di san Giacomo“ammazzasaraceni”(Santiago Matamoros).
Nel testo Feltri fa anche dei nomi di illustri intellettuali, professori, come Vito Mancuso, che in un editoriale su Repubblica, scrive che l’islam vuol dire pace e si rifà alla logica aristotelica.
Feltri risponde polemizzando con quelli che continuamente gli fanno la domanda oziosa: «Ma lei l’ha letto il Corano?». Perchè non la pongono agli imam barbudos: «Perché loro sanno bene che cosa c’è scritto nel Libro – scrive Feltri – E non hanno nessuna voglia di sentirselo citare fuori dalla moschea. L’hanno letto in arabo, lo fiutano tra loro a memoria, e le traduzioni per loro non esistono, poiché sono pur sempre interpretazioni, e dunque deformano l’essenza di Allah che si è fatto libro». Tuttavia Feltri ammette che il Corano l’ha letto e peraltro ce lo racconta, a cominciare dal capitolo: Caccia agli “infedeli”, che poi saremo noi. Naturalmente Feltri snocciola tutte le frasi forti contro chi non è musulmano, citando la stessa Fallaci.
Il direttore di Libero racconta due episodi emblematici dove diventa protagonista il popolo musulmano e non tanto i terroristi. Infatti può scrivere: «Non sono gli incappucciati di nero, alti due metri, la nostra minaccia, ma è la folla che simpatizza, li culla, li nasconde, gli dà il latte, ed è pronta ad ammazzare in proprio gli infedeli[…]I marcantoni con i coltelli servono per la propaganda[…] è la gente comune musulmana a essere l’arma di distruzione letale degli infedeli». E subito racconta dell’episodio dove una giovane coppia cristiana in un villaggio del Pakistan, sono stati arsi vivi, buttati in una fornace, da una folla di musulmani che li accusavano di blasfemia. Naturalmente nessuno capopolo è stato denunciato.
Altro grave episodio riguarda 12 nepalesi, immigrati in Iraq per lavorare, hanno fatto una fine orrenda, sgozzati come agnelli. Feltri addirittura dedica tre pagine, senza risparmiarci i particolari, a cominciare dai loro nomi. Qui si capiscono tante cose. La Fallaci rimase colpitissima da questa cronaca. «Si commosse per questi dodici figli del popolo “andati in Iraq per guadagnare un dinaro pulendo i cessi altrui”. La Fallaci guardando il video viene colpita dal fatto che questi nepalesi non chinano mai il capo. Potrebbe essere un monito per noi, che abbiamo perso la dignità.
Per quanto riguarda chi deve interpretare certi versetti del Corano, anche Feltri vede la difficoltà che nel mondo islamico non esiste una gerarchia, non esiste un Papa, come nel mondo cattolico.
Anche Feltri polemizza con l’Occidente, soprattutto dove scrive che «Che abbiamo allevato noi i nostri carnefici». Tra l’altro è il titolo dell’ultimo libro della Fallaci. Ma risero di lei, la presero in giro. Non solo, viene processata in tribunale per rendere conto del suo odio razziale. Citando il filosofo francese Fabrice Hadjadj, si conferma che i vari terroristi che procurano attentati sono tutti francesi, cresciuti con noi e integrati, figli nostri.
Feltri si ritiene ateo, ma tifa per il cattolicesimo, se vincono gli altri, «ci esamineranno l’alito e troveranno senz’altro spie che racconteranno dove teniamo l’ultima bottiglia di whisky». Nell’ultimo capitolo però si espone e sottolinea quell’opera di “suicidio” condotto dall’intellighenzia nostrana, che vuole cancellare tutti i segni, principi e valori cristiani. Citando il filosofo Robert Scroton siamo all’«oicofobia», odio per la propria casa.
L’ultimo libro, «Isis. Lo Stato del terrore», di Loretta Napoleoni, scritto durante l’apoteosi del Califfato con capitale Raqqa, ma certamente utile per capire cosa è successo e cosa può succedere ancora. Infatti il testo della Napoleoni, tra i tre, è quello più scientifico, che va a fondo della storia del mondo musulmano, dà tante risposte ai quesiti che il terrore islamista ci pone davanti. Pertanto va letto e studiato.
Le decapitazioni dei prigionieri, la pulizia etnico-religiosa nelle zone occupate degli uomini vestiti di nero, sono immagini che tutti abbiamo presente. La Napoleoni nell’agile volumetto, cerca di rispondere alle domande più o meno ovvie: chi sono, da dove vengono, come hanno fatto a diventare potenti, cosa vogliono le milizie islamiche. Naturalmente la scrittrice ha studiato il fenomeno e può concludere che l’Isis, si distingue dalle altre organizzazioni o gruppo armato per la modernità e il pragmatismo. Pertanto dimenticate i Talebani o al-Qaida, questi dell’Isis sono un vero e proprio Stato, con un suo territorio, una sua economia e un’enorme attrazione per i musulmani fondamentalisti di tutto il mondo.
Basti pensare che per la prima volta dalla fine della Prima guerra mondiale, un’organizzazione armata ha ridisegnato la mappa del Medio Oriente tracciata dai francesi e dagli inglesi. La bandiera nera e dorata dell’Isis ha sventolato su un territorio più vasto del regno Unito o del Texas.
Domenico Bonvegna