Non siamo borbonici. Non sogniamo il ritorno della monarchia. Ma ci sono storie che la storia ufficiale non racconta. La storia di una vera e propria guerra civile durata dieci anni e che ha segnato profondamente il nostro Paese subito dopo l’Unità. All’epoca, i vincitori, la liquidarono come una storia di “briganti”, la lotta contro l’invasore borbonico ridotta a una vicenda di ladrocini e saccheggi. Come se il Sud non fosse in grado di esprimere una propria identità e un proprio progetto politico. In questi post vogliamo, invece, ricordare le vicende e le storie di una vera e propria guerra, che ha visto un popolo sconfitto e un altro dominatore. La storia la scrivono i vinti. Ma agli storici e ai giornalisti spetta il compito di ricordare e valutare. Solo così si recupera la memoria storica di una nazione. E, soprattutto, si può evitare di rifare gli stessi errori del passato.
Francesco II, fino ad allora considerato una comparsa, una volta perso il resto e arrivato a Roma come esiliato eccellente, dimostrò un coraggio e una fermezza mai avuti prima. Formò un nuovo governo, presieduto dall’ottantenne Francesco Casella, ex controrivoluzionario, ex soldato murattiano, infine alto ufficiale di Ferdinando II. Gli Esteri furono affidati al barone Canofari che, inviato da Napoleone III, fu sostituito da Leopoldo Del Re, unico ammiraglio che non aveva lasciato il Borbone; le Finanze vennero assegnate al barone Salvatore Carbonelli, di ascendenze liberali (arrivò a Gaeta con i macchinari per stampare il giornale della piazzaforte)37. Calà Ulloa, ministro di Interno e Giustizia, era la vera mente politica. Iniziarono subito a litigare sul problema della Costituzione (quasi tutti volevano che il re la strappasse), ma la guerra era la priorità.
La promessa di fedeltà del marchese
Il marchese Michele Imperiale, principe di Francavilla, si presentò dal re a nome di un vasto settore della vecchia nobiltà napoletana (a differenza di quella siciliana) per ribadirne la fedeltà. La gerarchia ecclesiastica diventò un pilastro di questo schieramento: combinava l’incompatibilità dichiarata con l’ideologia liberale alla fedeltà alla monarchia napoletana. Il connubio si era saldato con il Concordato del 1818, rendendo necessario il consenso dei Borbone per i vescovi in carica, in buona parte entrati nel ruolo nell’epoca di Ferdinando II, di cui furono decisi sostenitori40.