Diciotto autorizzazioni in un solo giorno, il 10 dicembre, tutte con la benedizione del Ministero dell’Ambiente e, per lo più, localizzate fra le Marche e l’Emilia. Senza contare, poi, i tre nuovi permessi di ricerca petrolifera inseriti nell’ultimo Bollettino Ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (Buig), concentrati fra la Puglia e la Basilicata e pubblicati il 31 dicembre scorso, nel pieno dei festeggiamenti per San Silvestro. Quanto basta per infiammare il partito dei no-triv, contrari da sempre alle “trivelle” e per far infuriare il governatore Michele Emiliano, che annuncia l’ennesimo ricorso contro il governo. Il tutto mentre il vicepremier, Luigi Di Maio, scarica tutte le responsabilità sul precedente esecutivo. Mentre il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, fa sapere di non aver mai firmato nulla, tanto meno autorizzazioni a nuove trivelle. Tesi sostenuta, con tanto di documenti ufficiali pubblicati su Facebook, anche dal sottosegretario grillino, Davide Crippa: “Avevamo davanti due alternative: bloccare tutto con forte rischio di impugnazione e non ottenendo alcun risultato, oppure lavorare per una proposta normativa in modo tale da porre fine al proliferare di richieste di trivellare il nostro territorio o i nostri mari”. Insomma, un vero e proprio caos.
A far scoppiare la nuova mina erano stati, qualche giorno fa, proprio gli ambientalisti che non avevano nascosto il loro concerto per quella raffica di autorizzazioni ministeriali decise a metà dicembre. Fra queste anche tre permessi di ricerca nel mar Ionio e due concessioni di coltivazione di idrocarburi (una nuova e una proroga) in provincia di Ravenna. Uno di questi autorizzava, secondo i Verdi, la socioetà americana Global Med, con sede in Colorado, a utilizzare sistemi particolarmente “invasivi” per l’ambiente, come l’air gun e le bombe d’aria e sonore, pur di individuare nuovi giacimenti. Per quanto riguarda l’Emilia, il disco verde del ministero è scattato per la concessione di “coltivazione di idrocarburi” a Bagnacavallo e per la proroga di quella di San Potito, scaduta tra l’altro da anni.
Luigi di Maio respinge tutte le accuse: “Non ho mai autorizzato trivelle nel Mar Ionio. E’ una bugia. Queste ricerche erano state decise dal precedente governo, e in particolare dal ministro dell’Ambiente, Galletti, che aveva dato una valutazione di impatto ambientale favorevole. A dicembre, un funzionario del mio dicastero ha semplicemente sancito quello che era già stato definito. Non poteva fare altrimenti perchè avrebbe commesso un reato”. Ancora più esplicito il responsabile del dicastero dell’Ambiente, Sergio Costa: “Non sono diventato ministro per riportare l’Italia al medioevo economico e ambientale. Il parere favorevole della Valutazione di impatto ambientale non è automaticamente un’autorizzazione”.
Insomma, ci sarebbe ancora il tempo per porre rimedio e fermare le trivelle sul filo di lana. Tanto che si sta studiando una norma da inserire nel decreto semplificazioni per evitare il via libera ad altre 40 richieste pendenti. Si vedrà. Nel frattempo Emiliano torna all’attacco, parlando di “ipocrisia politica” e annunciando che farà ricorso. Sul piede di guerra anche il Verde Angelo Bonelli: “Il governo avrebbe già potuto fermare le autorizzazioni abrogando, nella Finanziaria, l’articolo 38 della legge “sblocca-Italia” voluta da Renzi e che consente di unificare l’autorizzazione delle ricerche con quella per l’estrazione degli idrocarburi”.