Alessandro Corti

Una generazione perduta. Ormai è sicuro: chi è nato nell’80 dovrà lavorare fino a 75 anni. E forse, anche oltre. Una beffa se si pensa che gli attuali 36enni sono nati proprio nell’epoca delle baby pensioni, quando gli italiani potevano lasciare l’attività poco oltre la soglia dei 50 anni. Oggi sarebbe da fantascienza. Il mix fra crisi economica e dell’allungamento dell’età pensionabile ha avuto conseguenze devastanti soprattutto sui giovani che non riescono più a trovare un lavoro. La disoccupazione nella fascia di età degli under 35 continua a viaggiare a ritmi insostenibili. E, dal momento che dal 2032 gli assegni Inps saranno calcolati esclusivamente con il sistema contributivo (quello che tiene conto solo dei contributi effettivamente versati), il rischio è che i futuri pensioni non solo lasceranno il lavoro in età molto avanzata ma anche con redditi ridotti al lumicino.

Ieri il presidente dell’Inps, Tito Boeri, proprio davanti ai giovani universitari della Cattolica di Milano, non ha nascosto le sue preoccupazioni. Fra qualche giorno invierà le prime 150mila lettere arancione che anticiperanno gli italiani gli importi presunti delle rispettive pensioni. Una missiva che, probabilmente, avrà l’effetto di una doccia fredda. Del resto già oggi il 60% degli assegni Inps viaggia al di sotto dei 750 euro mensili. Ma il vero nodo da sciogliere riguarda i giovani. In un Paese che ha perso negli anni della recessione oltre 10 punti percentuali e bruciato centinaia di migliaia di posti di lavoro, la riforma Fornero, con l’innalzamento repentino dell’età pensionabile, ha di fatto tagliato le speranze di trovare lavoro ad un’intera generazione. Quella più istruita da sempre. Una generazione che il Paese non può perdere se non vuole essere condannato ad un inesorabile declino.

Da questo punto di vista, in assenza di una vigorosa crescita dell’economia, l’unica strada percorribile è quella di prevedere meccanismi di flessibilità in uscita dal mercato del lavoro che riducano l’età pensionabile. Anche al ministero dell’Economia si comincia a prendere seriamente in considerazione l’idea di una ulteriore ritocco alla riforma Fornero per favorire il ricambio generazionale. Qualcuno ha fatto anche i primi calcoli: per consentire agli italiani di andare in pensione prima senza perdere troppi soldi servirebbero fra i 5 e i 7 miliardi di euro. Forse ancora troppi per le asfittiche casse pubbliche. Ma un dato è certo: disoccupazione giovanile e pensioni flessibili sono le due facce di uno stesso problema. Che, per una volta tanto, andrebbe affrontato con trasparenza, coraggio e coerenza. Evitando fughe in avanti ma anche quel caos di proposte legislative non solo inutile ma anche pericoloso dal momento che alimenta preoccupazione e allarme fra i giovani e pensionati. Due mondi che la riforma Fornero ha finito per mettere in conflitto ma che, per uscire dalla crisi, devono trovare non solo il modo di coabitare ma di sostenersi a vicenda. Per farlo, però, occorre finalmente passare dal “welfare della sicurezza” a quello della competitività e dell’inclusione sociale.

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