Alessandro Corti
L’illusione è finita troppo presto. Siamo tornati alla crescita zero. Nel secondo trimestre dell’anno, come certifica l’Istat, l’economia italiana è stata in panne. In Europa, Germania in testa, è andata meglio, il segno positivo accompagna quasi tutti i dati sul Prodotto Interno Lordo, l’indicatore che misura la ricchezza prodotta da un Paese. Unica eccezione, la Francia: anche qui il Pil non ha mosso un passo. Ma è troppo poco per consolarci. I fattori di questa nuova frenata sono noti: la minaccia, sempre più crescente, del terrorismo islamico, arrivato ormai alle porte di casa; le tensioni internazionali alle nostre frontiere; la grave crisi del sistema bancario; il rallentamento delle economie emergenti. Ma non basta. I dati che l’Istat sfornerà nei prossimi mesi terranno conto di altri due fattori che peseranno negativamente sull’economia: la Brexit, con l’addio della Gran Bretagna all’Europa e i nuovi scenari aperti dalla crisi in Turchia. Se a tutto questo aggiungiamo i problemi di casa nostra, con le incertezze legate all’esito del referendum e al conseguente destino del governo Renzi, i motivi di allarme sono sicuramente destinati a moltiplicarsi.
Il ritorno della crescita zero non è stata una sorpresa. Il dato già circolava da giorni fra Palazzo Chigi e via Venti Settembre, la sede del ministero dell’Economia. Ma questo non significa affatto che le sue conseguenze saranno meno gravi. La revisione al ribasso (dall’1,2 allo 0,8-0,9) della crescita del Pil complica, e non di poco, il cammino della prossima manovra economica. Già a maggio avevamo strappato a Bruxelles tutti i margini di flessibilità previsti dai trattati in cambio di una riduzione del rapporto debito Pil di quasi mezzo punto. Un impegno che, a questo punto, diventa ancora più difficile da mantenere. In più, sempre per il 2017, bisogna disinnescare l’aumento dell’Iva previsto dalle cosiddette clausole di salvaguardia. Un’operazione che, tradotta in soldoni, costa circa 15 miliardi, coperti per oltre il 50% dall’aumento del deficit concesso dall’Ue.
Insomma, con una crescita dello zero virgola e con la necessità di mantenere gli impegni assunti dall’Ue, il governo Renzi dovrà fortemente ridimensionare gli interventi allo studio, da quelli “sociali” (come la riduzione dell’età pensionabile) a quelli più squisitamente economici (come l’anticipo del taglio Irpef).
Un paradosso se si pensa che per imboccare il sentiero della crescita e fare fronte alla nuova gelata dell’economia, occorrerebbe una terapia d’urto puntata su tre obiettivi: rilancio dei consumi attraverso il taglio delle tasse, recupero di produttività con un pacchetto di investimenti pubblici, massiccia dose di riforme e liberalizzazioni per sbloccare un Paese da troppo tempo immobile. Sfide troppo ambiziose per un Paese a crescita zero e fortemente condizionato dalle regole del rigore dettate da Bruxelles. E dai mercati.