Controlli, arresti, sequestri di armi e droga, rastrellamenti a tappeto: lo spiegamento di forze messo in campo dal Ministro dell’Interno, Minniti, dopo la strage del 9 agosto che costò la vita al boss Luciano Romito, non ferma la guerra di mala. Dal 26 gennaio del 2015, giorno in cui venne ucciso il capo clan Angelo Notarangelo, si sono registrati i sette omicidi una lupara bianca e quattro agguati.
L’ultimo il 21 marzo scorso con il ferimento di Marco Raduano, considerato ex luogotenente di Notarangelo, proprio nel giorno della imponente manifestazione Antimafia organizzata da libera a Foggia.
La voglia di legalità non argina lo spargimento di sangue e Vieste – che turisti artisti hanno imparato a decantare e ad apprezzare – continua ad essere lo scenario del crimine la morte di Giambattista Notarangelo
Sabato pomeriggio nei pressi di un podere, i 18 colpi di arma da fuoco esplosi da almeno due sicari, interrompono la tregua coincisa con l’attuazione del Piano straordinario del governo. E non si è trattato di una vittima qualunque: il 45enne ucciso, che di mestiere faceva il custode, era il cugino di quel boss storico, Angelo Notarangelo, la cui uccisione ha scatenato una faida crudele e spietata.
Giambattista Notarangelo fu arrestato nel 2011 durante l’operazione dell’antimafia “Medioevo sul racket della guardiania”, condannato a 8 anni e 4 mesi, con pena ridotta a 7 anni e 6 mesi in appello. Attendeva la sentenza della Cassazione