Qual è l’impatto per l’economia italiana e, in particolare dell’industria meridionale, della chiusura dell’ILVA? La SVIMEZ ha valutato tale impatto, distinto per le diverse aree geografiche utilizzando il suo modello di previsione econometrico. L’esercizio di valutazione considera gli effetti diretti, indiretti, e indotti.

  1. Il primo riguarda la produzione realizzata e l’occupazione che si perderebbe direttamente nei tre impianti oggetto di valutazione.
  2.  Il secondo effetto (indiretto) valuta le conseguenza, in termini di minori input e servizi acquistati, che dai tre impianti si diffondono nei restanti comparti, e da questi ad altri ancora. Nell’effetto indiretto, ad esempio, è computato il valore (e l’occupazione) dell’energia elettrica prodotta in regione e/o altrove necessaria ad alimentare le acciaierie.
  3. Il terzo, l’indotto, riguarda la riduzione di consumo che deriva dai minori livelli di occupazione, diretta e indiretta.

    In Tab.1 sono riportati i valori dell’impatto complessivo su Pil e occupazione che derivano dal blocco della produzione del sito di Taranto. La valutazione ha considerato gli effetti della chiusura rispetto all’attuale assetto produttivo caratterizzato già oggi da una  produzione (intorno ai 4,5 milioni di tonnellate) inferiore agli obiettivi previsti dal piano industriale.

L’impatto annuo sul PIL nazionale è stimato, considerando gli effetti diretti, indiretti e
indotti, in 3,5 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi concentrata al Sud (in Puglia) e i restanti 0,9
miliardi nel Centro-Nord, pari allo 0,2% del PIL italiano. Se consideriamo l’impatto sul Pil del
Mezzogiorno si sale allo 0,7%.
Un impatto negativo si avrebbe soprattutto sulle esportazioni (-2,2 mld) ma anche sui
consumi delle famiglie (-1,4 mld), considerando il significativo impatto del venir meno degli
stipendi degli addetti dello stabilimento, dell’indotto diretto e degli effetti occupazionali del
rallentamento dell’economia. Si ricorda infatti che l’occupazione impegnata da ILVA è di quasi
10 mila addetti (di cui oltre l’80% a Taranto), di circa 3 mila dipendenti nell’indotto e di altri 3
mila addetti legati all’economia attivata dall’azienda. Parliamo di un bacino complessivo di
oltre 15 mila persone che rischierebbe di perdere il salario.
Un ulteriore esercizio, più completo, è stato svolto inoltro al fine di valutare non soltanto
l’effetto immediato della chiusura rispetto all’attuale situazione che, come detto, è già molto al
disotto del potenziale produttivo, ma valutando quanto l’Italia perde dal non portare a termine
il piano industriale che l’azienda si era impegnata a realizzare.
Il piano industriale proposto da AM Investco prevedeva di portare la produzione di
Taranto e dei due siti del Nord a otto milioni di tonnellate, pari a circa il 35% della produzione
nazionale di acciaio. Dopo il 2023, con la messa nuovamente in funzione dell’altoforno numero
cinque, l’output realizzato a Taranto sarebbe dovuto salire a otto milioni di tonnellate annue
(cui si aggiungerebbero i due milioni realizzati nel Nord) e la quota sul totale nazionale sarebbe
destinata a salire a oltre il 40%. Nell’arco temporale di implementazione del piano industriale
la nuova società avrebbe inoltre realizzato 2,4 mld. di euro di nuovi investimenti, cui si
aggiungevano i circa 1,1 mld. di spese destinate alla bonifica del sito oggetto di transazione con
la precedente proprietà.
Nel periodo di attuazione del piano industriale (2018-2023), il Pil complessivamente
attivato dalla produzione realizzata nel sito di Taranto e negli altri due del Nord sarebbe stato
pari a 22,5 mld. di euro nell’intero arco temporale coperto dal piano industriale. Per avere un termine di paragone, si tratta nel complesso di 1,3% del Pil italiano; nel Sud l’impatto sale al
4,2% del Pil dell’area.
Sotto il profilo occupazionale, nell’intero periodo di attuazione del piano industriale si
valuta che la produzione complessivamente realizzata avrebbe creato circa 51,000 posizioni
lavorative, di cui circa 42,000 in Puglia e le restanti altrove (anche in questo caso: la gran parte
nel Centro-Nord).