Sempre più accidentato il cammino del ddl che abolisce le province come organi elettivi e ne riduce sensibilmente le competenze. Dopo il via libera della commissione Affari Costituzionali del Senato (dove ieri il governo è stato battuto due volte) il provvedimento ha superato per il rotto della cuffia il primo decisivo passaggio in assemblea, evitando per soli quattro voti uno scivolone sulla pregiudiziale di costituzionalità presentata dal M5S.
La proposta di cestinare un testo che ha già avuto un prima via libera di Montecitorio nel dicembre scorso è stata respinta per un soffio: su una coalizione di governo che in teoria può contare su 169 voti, a respingere l’assalto grillino sono stati in appena 115 con un’astensione e 112 sì. In commissione invece è arrivata la prima sconfitta parlamentare con il sì alla proposta di riaffidare l’edilizia scolastica alle province e l’affossamento di un emendamento del relatore che proponeva un tetto per i presidenti provinciali. A finire sul banco degli imputati gli assenti, in primis il popolare Mario Mauro e quelli del Ncd di Alfano.
Il premier comunque non ha risparmiato ottimismo: “Se domani passa la nostra proposta sulle province, tremila politici smetteranno di ricevere un’indennità dagli italiani”, ha twittato ieri Renzi di ritorno dall’Aja. In serata si è corsi ai ripari con una riunione a Palazzo Chigi per blindare il testo ed è iniziata a circolare l’ipotesi di un voto di fiducia. Una ulteriore testimonianza questa di come il provvedimento viaggi sul filo del rasoio. Non è infatti un mistero che M5S, Forza Italia e Lega siano contrari a questa trasformazione delle province in enti di secondo livello. Ma a dividersi sul provvedimento sarebbero stati i senatori di Per L’Italia, con Pier Ferdinando Casini e Maria Paolo Merloni a sostegno del provvedimento e Andrea Olivero, Salvatore Di Maggio e Lucio Romano a favore invece della pregiudiziale grillina. L’iter comunque procede, mentre il relatore del ddl Francesco Russo (Pd) parla di incidenti di percorso. L’obiettivo è arrivare al voto finale di Palazzo Madama entro oggi pomeriggio per poi tornare a Montecitorio per le seconda, e forse definitiva, lettura.