Il caso di Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd, uno fra mille, è interessante.

Aprile 2011:

«L’informazione libera è il peggior nemico di Berlusconi e quindi la sua priorità è tapparle la bocca». II Pdl era al governo e progettava, ancora una volta, di regolamentare l’uso e la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, che in quei mesi offrivano i dettagli dei rapporti fra il premier e le sue amichette. Serracchiani aveva individuato nel centrodestra «un’autentica ossessione» contro «una libertà fondamentale dello stato di diritto», prova di «un nervo scoperto del sistema di potere berlusconiano». Nessuno, scriveva su Facebook, fa il politico «perché glielo ha ordinato il dottore», quindi accetti pubblicità anche «sui comportamenti privati».

Aprile 2016.

Il vicesegretario del Pd ha cambiato idea. «Non si può tirare troppo la corda. Che ci fosse necessità di regole chiare sulle intercettazioni si sapeva», ha detto già la scorsa estate commentando le disavventure del governatore siciliano Rosario Crocetta. E un’urgenza che fino a ieri sera sembrava condivisa dal presidente del Consiglio, prima disinteressato al problema e adesso persuaso che «le sentenze si fanno nei tribunali» e non su «un giornale che pesca in un anno e mezzo di intercettazioni la frase più a effetto».