Può un centro di aggregazione dell’eccellenza tecnologica, come il Polo di San Giovanni dell’Università Federico II, essere un propulsore della riqualificazione dell’are Est di Napoli? Con le Academy che è riuscita a richiamare in città(Apple, Digita, Cisco, Fs e Capgemini), saprà fungere da catalizzatore del tessuto connettivo che serve per promuovere lo sviluppo del territorio?

Sono domande alle quali la stessa Università intende dare una risposta. Come? Con una ampia e approfondita indagine affidata a due docenti dell’Ateneo, i quali si sono assunti l’onere di raccogliere dati e considerazioni mediante una ricerca basata su interviste rivolte a imprenditori, manager, esperti di innovazione e decisori pubblici. “Si parte dalle imprese digitali – spiega Mita Marra, docente di Politica economica – iscritte al Registro delle Start up e delle Pmi innovative presso la Camera del Commercio. Per poi estenderla a una platea più ampia, che include i campioni di imprese manifatturiere innovative ad alta redditività, nonché aziende manifatturiere insediate nell’area orientale della città”. IlSudonoline l’ha intervistata.

Professoressa Marra, quale tipo di impresa intendete raggiungere con l’intervista?

Abbiamo deciso di concentrarci sui settori della meccanica di precisione e dell’agro-alimentare, in cui si specializza la produzione manifatturiera campana con un significativo trend di internazionalizzazione. L’intervista in questi casi è imprescindibile.

Nel merito, si tratte di un questionario che viene distribuito on line?

E’ noto che i tassi di risposta ai questionari inviati online o in cartaceo sono inadeguati a restituire un quadro fedele dei fenomeni che si intendono indagare. L’oggetto dello studio è multidimensionale, mutevole e talvolta elusivo e esistono problemi di affidabilità delle risposte. Diversamente dal questionario, l’intervista è uno strumento di indagine flessibile, capace di scavare in profondità motivazioni e percezioni soggettive.

E’ un metodo impegnativo anche per la cura che richiede l’interpretazione delle informazioni qualitative che si raccolgono. Non è così?

Occorre interrogare a più riprese le trascrizioni e, talvolta, anche tornare nelle imprese visitate al fine di corroborare le conclusioni provvisoriamente avanzate. Ciascuna intervista è preziosissima e non standardizzabile benché segua una traccia che include le questioni sottoposte a tutti gli interlocutori. Come già anticipato, il lavoro di interpretazione è intenso e impegnativo. Ma è anche molto appassionante.

Quante aziende avete raggiunto ad oggi?

Finora abbiamo intervistato quasi 50 imprese selezionate attraverso criteri di natura economico-sociale in collaborazione con i responsabili del polo ma anche con il centro studi dell’Unione industriale. Le medio-grandi imprese che abbiamo visitato sono realtà consolidate con produzioni adattate su misura sulle esigenze dei committenti. Abbiamo anche incontrato piccole imprese insediate nell’area di San Giovanni a Teduccio che, mimetizzate nell’ambiente degradato del quartiere, mostrano una vitalità inattesa con produzioni di fine qualità artigianale.

Che cosa emerge sul piano emotivo dalle interviste?

Gli imprenditori intervistati ci hanno accolto nel proprio mondo disvelando dimensioni inedite, come ad esempio, l’orgoglio di essere imprenditori del Sud, la sfida di continuare l’impresa familiare nel mondo globalizzato transitando da una generazione all’altra, la capacità di selezionare fornitori in grado di rispondere puntualmente alle esigenze di produzione dell’azienda, la scommessa di investire in innovazioni organizzative nonostante la mentalità sovente poco incline al cambiamento da parte della forza lavoro, la determinazione di forgiare soluzioni personalizzate nonostante l’incertezza dei mercati. La ricerca sul campo è un’esperienza sorprendente.

Sorprendente?

Sì perché conducendo questa ricerca mi confronto con chi si valuta sistematicamente, ogni giorno, per investire e migliorare nel tempo. Osservo comportamenti che testimoniano etica del lavoro e responsabilità sociale al riparo dalle luci della ribalta dei social media.

C’è differenza nell’approccio tra grandi e piccole imprese?

Se per le grandi imprese, si riscontrano innovazioni sedimentate nel tempo e ricercate intenzionalmente per arricchire la versatilità, la qualità e anche l’estetica del prodotto, per le piccole imprese del territorio l’innovazione è sovente inconsapevolmente realizzata, indotta dal mercato o dalla tipologia di commesse assunte. Proprio queste imprese richiedono un supporto competente e puntuale al fine di riqualificare e digitalizzare i processi produttivi.

Cosa si può dire del Polo come laboratorio dell’innovazione e modello di connessione tra mondi diversi come impresa e accademia?

Le prime risultanze della ricerca confermano una stretta interdipendenza tra questi mondi che non sempre in passato hanno saputo dialogare specialmente al Sud. Le forme più interessanti di collaborazione nascono grazie al lavoro di lunga lena dei responsabili dei laboratori e delle academies impegnati nella ricerca e nella formazione di giovani leve.

Ritiene utile avere un regime di tassazione agevolato nell’area Est per attrarre risorse giovani competenze come fa il Polo?

Direi che sovente anche buone riforme di politica economica non riescono ad avere successo in quanto non vengono attuate in maniera adeguata. Ad esempio, esiste una misura regionale nota con l’acronimo ZES (zona economica di sviluppo) che parrebbe in teoria utile ad attrarre nuove imprese nell’area ma non è ancora stata attuata. A mio avviso qualsiasi politica deve essere valutata sulla base dell’esperienza concretamente realizzata. Occorre apprendere dai successi e dai fallimenti, con umiltà, per migliorare nel tempo.

Asuo giudizio sta sorgendo nell’area Est una nuova residenzialità legata alla classe degli innovatori e dei creativi?

Le prospettive sono promettenti. Il fattore chiave è il capitale umano, alias i tanti giovani che con determinazione si impegnano ad acquisire competenze e a realizzare legittime aspirazioni di realizzazione professionale nel proprio luogo natio. Gli investimenti esteri o comunque esterni alla regione che il centro ha saputo attrarre potrebbero richiamare ulteriori insediamenti produttivi. E’ una potenzialità che bisogna curare non solo attraverso interventi di comunicazione ma attraverso servizi pubblici adeguati.

Cosa pensi del ruolo che imprenditori e ricercatori potrebberoassumere in qualità di advisory board di decisori pubblici e le istituzioni?

In teoria sarebbe auspicabile dar luogo ad un dialogo costruttivo e inclusivo, capace di far partecipare grandi e piccoli imprenditori nonché ricercatori affermati italiani e stranieri, nonché creativi alle prime armi. Nei fatti, constato che almeno gli imprenditori intervistati sono fin troppo oberati dal carico di lavoro legato alla gestione delle proprie aziende da non avere il tempo da dedicare ad una politica che percepiscono talora come incompetente e clientelare. In altri termini, è motivo di orgoglio per un imprenditore riaffermare la propria distanza da influenze e finanziamenti pubblici: resistere alle insidie e alle assurdità delle burocrazie nostrane è prova di resilienza dell’impresa meridionale…

Lei insegna nel periodo estivo alla George Washington University. Può farci qualche esempio di felice contaminazione tra saperi e territori negli Usa?

Si, durante il semestre estivo, nell’ambito del Master in Public Policy and Public Administration, mi ritrovo con allievi statunitensi occupati in imprese o organizzazioni pubbliche o private non profit. La laurea è solo il primo gradino di un lungo percorso di formazione post universitaria. L’esperienza professionale è intervallata da sistematiche occasioni di frequenza delle aule universitarie ove la didattica è interattiva e consente di combinare il sapere scientifico con il sapere tacito e esperienziale che si acquisisce nelle pratiche di lavoro.

Qual è l’acquisizione più importante che ha maturato in tale contesto?

La conoscenza scientifica e la competenza tecnica si fondono, negli ambienti di lavoro, con il sapere pratico-contestuale utile tanto a risolvere i problemi quotidiani quanto a disegnare politiche e strategie innovative di lungo periodo.La mia stessa esperienza di formazione accademica, con un Master e un PhD conseguiti mentre lavoravo come valutatrice di programmi di sviluppo internazionale in Banca mondiale mi ha fatto toccare con mano la possibilità di integrare episteme, techné e metis di cui parlavano i Greci.