Un’inchiesta di Repubblica racconta che i familiari del giudice, ventidue anni dopo Capaci, stanno per consegnare un computer alla magistratura. Vogliono sapere se, lì dentro, si possono ritrovare alcuni dei suoi scritti più segreti.
Nonostante il tempo passato e nonostante la “pulizia” dei supporti informatici operata dalle solite manine subito dopo la strage, la sorella Maria ha incaricato i suoi avvocati di depositare un Toshiba alla procura di Caltanissetta, quella che indaga sui massacri palermitani del 1992.
E’ un piccolo portatile, violato qualche giorno dopo l’attentato con un programma usato per riportare in salvo e per eliminare definitivamente i file. Una prima perizia di tanti anni fa aveva accertato “manomissioni”, le prove di un sabotaggio. Ma ora i familiari del magistrato, confortati da nuovi sistemi di ripescaggio dei dati attraverso tecnologie avanzate, sperano che gli esperti possono riesumare annotazioni perse anche nelle memorie più remote.
Dice Maria Falcone alla vigilia delle celebrazioni in memoria del fratello: “Spero che troveranno qualcosa, sarà un altro passo verso la verità”. Dell’archivio di Falcone si è ritrovato ben poco e fra quel poco ci sono stralci sul diario, due fogli che il giudice ha affidato qualche mese prima di morire a una sua amica (“Non si sa mai, ci sono fatti che preferisco registrare a futura memoria”), la giornalista Liana Milella, nel 1992 inviata dal Sole 24 Ore e poi la Repubblica.
E’ l’unica testimonianza personale che Falcone ci ha lasciato per iscritto. Due fogli dove il giudice ricostruiva il clima avvelenato della Procura di Palermo di quegli anni.