La vicenda dell’Ilva ha trovato il suo approdo stabile e definitivo. In Italia, dove le operazioni politico industriali – e questa è stata una operazione politico industriale – hanno la consistenza del burro fuso e sono sottoposte a continue ricalibrature a causa delle rimodulazioni dei poteri e degli equilibri visibili e invisibili, non era affatto scontato. L’asta, di per sé, ha funzionato. Arcelor Mittal, con la partecipazione di minoranza di Marcegaglia e l’appoggio di Intesa Sanpaolo, ha avuto la meglio, in un passaggio tecnico che ha già una consistenza politica, su Jindal, capocordata dell’ultimo minuto di un composito rassemblement formato dal fondatore di Luxottica Leonardo Del Vecchio, dalla Cassa Depositi e Prestiti e dall’imprenditore siderurgico di Cremona Giovanni Arvedi. Capitolo esuberi: previsti tagli fino a seimila posti. Ieri l’incontro al ministero dello Sviluppo Economico. Sindacati in rivolta. Una sforbiciata che sarà avviata quando l’Ilva passerà alla cordata vincitrice della gara, con ogni probabilità ArcelorMittal-Marcegaglia. «Non è accettabile che ci sia una riduzione dell’occupazione di questa natura», ha dichiarato il segretario generale della Fiom, Landini. «Non sono proponibili migliaia di esuberi», gli ha fatto subito eco il segretario generale della Uil, Palombella. «Partiamo male», ha aggiunto il segretario generale della Fim, Bentivogli.