di Michele Eugenio Di Carlo*
Negli ultimi trent’anni il sistema bancario del Sud è stato praticamente smantellato e acquisito in gran parte da istituti del Nord. E’ un altro segno inequivocabile dello strabismo con cui le politiche governative hanno inteso garantire un’inesistente Questione settentrionale di fattura leghista al fine di annullare l’esistente e sempre più preoccupante Questione meridionale, tanto che il tasso di disuguaglianza del Mezzogiorno nel confronto con il resto d’Italia e d’Europa è arrivato a livelli tali che chi ha governato negli ultimi trent’anni non dovrebbe fare altro che pentirsi e chiedere scusa.
Giova nuovamente segnalare il punto di quasi non ritorno in cui politiche discriminatorie hanno portato il Mezzogiorno: esodo forzato di milioni di cittadini costretti ad emigrare con perdita di un enorme capitale umano, fattore principale nei processi di crescita e di sviluppo; desertificazione di intere aree interne che hanno perso servizi e infrastrutture fondamentali; disoccupazione giovanile in alcune aree al 60% con un processo di invecchiamento della popolazione che non riserva nessuna possibilità di futuro; carenze ormai croniche di infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie, aeroportuali, portuali, penalizzanti lo sviluppo in tutti i settori; nuove tecnologia applicate all’economia, alla cultura, ai servizi spesso inesistenti, altre volte inadeguate; perdita di fiducia nelle istituzioni democratiche, fattore che alimenta populismi e genera disagio sociale.
Quali le cause che hanno reso cieche le politiche governative degli ultimi trent’anni e del tutto inutili i partiti nazionali del PUN (partito unico del nord)?
Innanzitutto il trasferimento del potere decisorio reale dalla politica alla finanza con politiche che hanno privilegiato gli interessi privati di grandi gruppi finanziari, spesso multinazionali, a scapito di quel “bene comune” (ambiente, salute, occupazione e qualità del lavoro, diritti, partecipazione, assistenza, solidarietà, servizi sociali, cultura, ricerca e formazione), che la politica aveva saputo conservare e alimentare fino agli anni Ottanta.
La foga delle privatizzazioni, ad esempio: una vera tendenza verso le politiche ultraliberiste reaganiane e thatcheriane che ha sottratto al controllo dello Stato italiano importanti e vitali settori, messi a disposizione di gruppi finanziari che hanno seguito la logica utilitaristica del libero mercato nell’ambito della finanziarizzazione dell’economia, spesso solo virtuale, e basata su transazioni finanziarie che spostano senza limiti e senza controllo capitali da una parte all’altra del mondo.
In altre parole, questi gruppi hanno assunto, anche grazie al devastante sistema del finanziamento ai partiti, un controllo importante nell’ambito delle decisioni politiche ed economiche, sostituendosi alla politica, rendendo nulle le pretese sindacali, azzerando i diritti delle classi lavoratrici e, in generale, dei cittadini comuni appartenenti alla classe media.
La crisi finanziaria che ci portiamo dietro dal 2008, e che penalizza particolarmente il Mezzogiorno, iniziata con il fallimento della Lehman Brothers a seguito della bolla immobiliare legata ai prestiti dei mutui subprime, è il frutto dell’invasione della finanza nella politica con partiti ridotti ad un ruolo gregario, al comando dei quali spesso vengono ormai messe personalità vuote di capacità progettualità e manovrati da media asserviti che li creano e li distruggono a seconda degli interessi di chi controlla realmente il potere.
É sotto questi aspetti complessi e articolati che bisogna analizzare il crollo che ha portato allo smantellamento del sistema bancario del sud Italia. Un crollo che presenta fasi ben precise che sono state illustrate puntualmente, in relazione agli ultimi decenni, dal giornalista del “Mattino” di Napoli Marco Esposito, nel testo “Separiamoci” (Separiamoci. Il Sud può fare da sé, Milano, Magenes, 2019, 3ª ediz.).
Nel 1990, con la legge del piemontese Giuliano Amato inizia il processo di trasformazione del sistema creditizio italiano in soggetto di diritto privato, spingendo con incentivi fiscali le banche, enti di diritto pubblico, «a separare la propria attività in due: una fondazione e una banca società per azioni, con la prima proprietaria al 100% della seconda». Se nella prima fase la legge obbliga le fondazioni a mantenere il controllo delle banche, nella seconda impone l’obbligo di scendere al di sotto del 50% con il risultato finale che le banche passano ad un sistema che permette la scalata del più forte.
Dopo il referendum del 1993, la nomina dei vertici delle fondazioni passa dal Governo agli Enti Locali e Antonio Fazio, governatore della Banca d’Italia, consente che i grandi gruppi finanziari del Nord assorbano anche i colossi creditizi del Sud, come ad esempio il Banco di Napoli. Ed ecco che «le fondazioni bancarie erogano fondi e sostengono servizi per il 93% al Centro-nord e per il 7% al Sud».
Nel mentre i gruppi bancari del Nord acquisiscono una alla volta le banche meridionali e quelle romane, l’’elenco delle fondazioni, all’origine banchi e casse di risparmio risalenti anche al Cinquecento, che cedono il controllo negli anni Novanta a Istituti del Nord è «impressionante». Gli istituti acquisiti dalla sola Banca Popolare dell’Emilia-Romagna tra il 1994 e il 2000 sono i seguenti: Banca del Monte di Foggia, Cassa Rurale di Sicignano negli Alburni, Banca Popolare del Materano, Banca Popolare di Lanciano e Sulmona, Banca Popolare di Crotone, Credito Commerciale Tirreno, Banca Popolare della Val D’agri, Banca Popolare del Sinni, Banca Popolare di Castrovillari e Corigliano Calabro, Banca Popolare di Salerno, Carispaq-Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila, Banca Popolare dell’Irpinia. Ma l’elenco non sarebbe completo se non si tenesse conto della perdita dei seguenti altri istituti: Banca Sannitica, Banca del Salento, Banca Popolare di Napoli, Banca della Provincia di Napoli, Credito Commerciale Tirreno, Banca Mediterranea.
Appena qualche giorno fa, Marco Esposito sulle pagine del “Mattino” del 21 agosto, in un articolo titolato “Fondazioni bancarie, trent’anni di egoismi: Nord batte Sud 20-1”, precisa ancora meglio la questione delle fondazioni bancarie, ripercorrendo le tappe della loro evoluzione degli ultimi decenni e precisando che gli 88 enti che sostengono l’arte, la cultura, la sanità, la ricerca, la solidarietà, erogano i propri fondi con una percentuale sempre più sbilanciata a favore del Nord; infatti dei 40 miliardi assegnati in 28 anni, mai il Sud ha superato la soglia del 5% per sostenere la propria cultura, sanità, ricerca, arte.
Si ripropone nuovamente la tesi che il divario del Mezzogiorno dal resto del paese non è più un caso a sé, ma da analizzare e risolvere nel contesto in cui agiscono potenti multinazionali e lobby finanziarie inseriti pienamente nei gangli vitati della politica, al fine di condizionarne le scelte.
*Segreteria nazionale M24A per l’Equità territoriale