Se l’Italia non sta bene iI Sud sta decisamente peggio. Colpa della crisi, certo, ma l’origine dei mali è molto più lontana. Basta far riferimento all’avvento dell’euro – per esempio – per vedere che l’intero Paese, negli ultimi quindici anni è cresciuto poco e male, come fa notare l’ultimo bollettino della Banca centrale europea. Inoltre, si rischia un sottosviluppo permanente, e dal 2000 la crescita del Mezzogiorno è stata la metà di quella della Grecia .Qui a parlare sono le anticipazioni sull’ultimo rapporto Svimez, che usa queste drammatiche espressioni per descrivere la condizioni del Sud. Quella Meridionale è una questione mai risolta, spiega l’associazione, e che nemmeno ora pare si voglia affrontare. I dati del declino sono tutti espliciti, ma ce n’è uno che più di tutti rende la gravità del caso. Fra il 2000 e il 2013, l’Italia – come sottolineato anche dalla Bce- ha fatto poco. Il Pil nazionale &egrav e; aumentato solo del 20,6 per cento. Ma nelle regioni del Mezzogiorno non siamo andati oltre il 13 per cento, metà di quanto fatto dalla Grecia.
Siamo vicini al punto di non ritorno per il Mezzogiorno. Cartina di tornasole di tutte le emergenze economiche e sociali, dei ritardi culturali,e delle sfide disattese o mal interpretate che il Paese si trova oggi ad affrontare, il Mezzogiorno rappresenta sia la prima emergeza nazionale, sia una inquietante anteprima della condizione in cui tutta l’Italia potrebbe trovarsi se lasciamo che il tempo passi invano. Le analisi che la Svimez nel suo Rapporto annuale, da urlato, e la Bce nel suo Bollettino economico, dall’altro, hanno pubblicato ieri non sono inattese; ma non per questo meno preoccupanti. Con una dinamica della produttività dei fattori negativa o ferma dal 1995, ed un reddito pro-capite in calo dopo la Grande crisi, l’Italia perde contatto dalle economie a medio-alto reddito dell’Europa, e si ritrova sospesa tra queste e la periferia Sud dell’Eurozona: Spagna, Portogallo, Grecia. A questo si accompagna, nel nostro Paese, una divergenza economica e sociale forse ancor più profonda tra il Nord ed il Sud.
Non bisogna essere nati necessariamente al Sud per sentirsi scossi e colpiti dal grido d’allarme lanciato dalla Svimez sul rischio di un “sottosviluppo permanente” che incombe sul nostro Mezzogiorno – scrive Giovanni Valentini su Rapubblica – Basta essere nati in Italia, in qualunque regione italiana. E cioè essere cittadini di questo benedetto Paese, meridionali o centro-settentrionali, non fa differenza. Un Paese sempre più diviso e diseguale, con un Sud che ormai va alla deriva. I dati forniti ieri dall’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno — fondata nel 1946 da un gruppo di industriali e finanzieri lungimiranti, tra cui diversi uomini del Nord — documentano drammaticamente uno stato di crisi che equivale a un coma profondo. Il Sud è in agonia. E il pericolo maggiore è che con un handicap del genere non riesca più neppure ad agganciare una possibile ripresa, se e quando dovesse effettivamente manifestarsi a livello nazionale.
«I presidenti delle regioni meridionali, devono scatenare l’inferno del cambiamento» suona la carica Michele Emiliano, governatore della Puglia, che commenta così l’allarme lanciato dalla Svimez. «I dati sono gravissimi, ma per tutto il Paese. Lo ripeterò fino a essere noioso: il superamento della questione meridionale è la madre di tutte le battaglie perché, diversamente, l’Italia l’Italia non uscirà mai dalla crisi economica».