C’è uno strano virus che si aggira nella nostra classe politica. E’ quello della progettite. Per tanti versi perfino più drammatico, al netto ovviamente delle vite umane, del Covid. La progettite che accompagna i sogni di qualsiasi politico che conto. Accarezza con la sua brezza le notti dei funzionari. E’ la gioia di ogni burocrate che si rispetti. Così, puntualissimo, eccolo spuntare per il recovery fund. Con una marea di proposte. C’è la scuola e c’è la salute, come annunciato e ribadito più volte dal governo. C’è il completamento della Torino-Lione, l’alta velocità Napoli-Bari e l’agognato Piano per il 5G in tutta la Penisola. Ma ci sono pure una miriade di proposte con nomi altisonanti, obiettivi futuribili, fattibilità incerte e con coriandoli di spesa che spesso si limitano a 1-2 milioni di euro. Un assalto alla diligenza 4.0 che triplica la spesa totale: invece che dei 207 miliardi messi a disposizione dall’Europa con il Recovery Fund servirebbero quasi 700 miliardi. È questo il quadro con il quale si dovranno confrontare il ministero del Tesoro e Palazzo Chigi quando, dopo le elezioni, dovranno cominciare a fare una sintesi delle oltre 500 proposte in vista delle scadenze imposte dal Bruxelles per l’erogazione dei fondi. Ma pochi sanno che in Italia ci sono opera pubbliche bloccate (ma già cantierabili) per oltre 150 miliardi. Che i fondi europei che avremmo dovuto spendere entro il 2020 (circa 100 miliardi) sono stati utilizzati solo per un quarto. E che per fare un’opera pubblica in Italia con un valore superiore ai 100 milioni servono almeno quindici anni. Allora, prima di fare nuovi progetti e riempire di altrettante pagine il nuovo libro dei sogni della politica italiana, non sarebbe stato il caso di concentrarsi sulle 3-4 cose che davvero sono essenziali? Mettendo una volta tanto gli interessi di bottega o peggio ancora le clientela. Per farlo, però dovremmo trovare una volta per tutto il vaccino contro il male oscuro italiano della progettite.