Se lo avessero dovuto introitare in un film di successo in tanti lo avrebbero posizionato in “Amici miei”. Salvatore Lopresti, con giovanile pudore, era uomo semplicemente complesso, che andrebbe “identificato” nella sua duttilità, cortesia, sapiente ‘leggerezza’ di interprete di vari personaggi che creava intorno a se stesso (a suo agio in quasi ogni ambito della cultura) con le sue molteplici capacità, che gli dettero grandi soddisfazioni, era un serafico, un uomo, un filosofo, uno scrittore, un teatrante sentimentale, che trastullava i suoi candori onirici nell’accedere in ogni luogo ed ogni ambiente.
Quel che ricordo del Salvatore Lopresti, oltre il talento, il valore, la tenacia con cui seppe costruire tutta la sua vita, è soprattutto il suo essere uomo, artista, costruttore, attore e registra che per completezza, raffinatezza, umanità di mimesi riuscì ad evolvere verso forme di sobrio ed autorevole protagonismo. A mia memoria, fu giornalista, scrittore, regista, commediografo ma, soprattutto, filosofo di vita.
D’altronde, pur provenendo da una Napoli post bellica, la formazione professionale di Lopresti rispondeva a tutti i crismi di un iter fortemente personalizzato dal suo carattere definibile come un “caleidoscopio dai tanti colori” e pioniere quotidiano del “sapere”.
Lo abbiamo conosciuto e stimato, con quel suo viso “romantico”, dotato di una verve naturale e spaziante dai toni grotteschi o canzonatori, ma anche di una cruda drammaticità “verista”: come fu per la Compagnia Stabile per il Dramma Antico, particolarmente rivolta alla rappresentazione teatrale di riduzioni da lui scritte, con la quali fece numerosi spettacoli, spaziando agevolmente dalla gentilezza d’animo all’occasionale allegro-falstaffiano, che lo rendevano protagonista nei tanti ruoli nei quali prendeva coscienza della superficialità di usi e costumi Napoletani “esportati” in tempi moderni.
Salvatore Lopresti utilizzava il suo poliedrico talento per muoversi dallo sgargiante, fragoroso, in fondo spassoso, al pedestre crapulone.
Quale Membro della società degli Hohenstaufen di Göppingen (Germania), della casata Sveva di Federico II, scrisse e tenne conferenze in lingua tedesca: nel 1987 scrisse Der Gof Von Neapel Myten Legenden und Erzahlungen, per la divulgazione ai turisti tedeschi della mitologia Campana. In effetti, perseguiva l’aforisma del grande Al Pacino: “Io credo che si reciti solo nella vita, mentre nell’arte si persegue solo la verità”.
* Presidente I.C.R.I. ( Istituto di Cultura e Relazioni Internazionali )