di Michele Eugenio Di Carlo*
Gli studi, le ricerche, gli articoli dei meridionalisti trovano pieno conforto nella recentissimo Rapporto Italia 2020 dell’Eurispes1, l’Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali degli italiani. Non ha usato mezzi termini il presidente dell’ Eurispes Gian Maria Fara, prendendo il via nella sua analisi proprio dal processo unitario italiano: «Sulla questione meridionale, dall’Unità d’Italia ad oggi, si sono consumate le più spudorate menzogne. Il Sud, di volta in volta descritto come la sanguisuga del resto d’Italia, come luogo di concentrazione del malaffare, come ricovero di nullafacenti, come gancio che frena la crescita economica e civile del Paese, come elemento di dissipazione della ricchezza nazionale, attende ancora giustizia e una autocritica collettiva da parte di chi – pezzi interi di classe dirigente anche meridionale e sistema dell’informazione – ha alimentato questa deriva». L’accusa alla classe dirigente italiana e al sistema d’informazione è precisa e dello stesso tenore di quella che i meridionalisti muovono da decenni inascoltati e, spesso, oscurati proprio dai media. Non è un caso che riguardo all’informazione, tra mille difficoltà, si è cercato di diffondere ad esempio le conclusioni avanzate nel testo “La parte cattiva dell’Italia. Sud, media e immaginario collettivo” da Stefano Cristante e Valeria Cremonesini, docenti di sociologia dei processi comunicativi e culturali; conclusioni che lasciano sconcertati: negli ultimi 35 anni i media nazionali hanno messo in rilievo quasi solo i mali del Mezzogiorno creando negli stessi meridionali un immaginario percepito falsato. Raccapricciante la constatazione che, come aggiunge Fara, le più autorevoli agenzie nazionali ed internazionali certificano che riguardo al Mezzogiorno «siamo di fronte ad una situazione letteralmente capovolta rispetto a quanto creduto». Ed ecco i dati nero su bianco del Rapporto Italia 2020, che non si differenziano da quelli spesso divulgati nel passato ma ignobilmente contestati e ignorati:
1 – Lo stato italiano nel 2016 ha speso per ogni cittadino del Centro-Nord 15.062
euro, mentre per ogni cittadino del Sud la spesa è stata di 12.040 euro, una differenza di
ben 3022 euro pro-capite;
2 – Nel 2017 l’Eurispes rileva per il Centro-Nord una spesa pro-capite aumentata a
15.297 euro, per il Sud una spesa pro-capite diminuita a 11.939 euro per una differenza
che aumenta a 3358 euro e che moltiplicata per il numero di abitanti del Mezzogiorno
ammonta a oltre 60 miliardi annui.
Dov’è quel Sud dalle mille risorse finanziarie sprecate raccontato nei salotti televisivi
di quei talk show nazionali dove giacciono onnipresenti i soliti conduttori e opinionisti?
E dov’è quel Sud a cui verrebbe distribuita gran parte della spesa pubblica, se al
contrario i dati confermano che sono le regioni del Nord ad essere beneficiate da una
spesa annua nettamente superiore?
Il Rapporto Italia 2020 attesta incontrovertibilmente che, in relazione alla percentuale
di popolazione residente, al Sud dal 2000 al 2017 è stata sottratta una somma pari a 840
miliardi. Un dato impressionante di cui politica e media non hanno mai tenuto conto
negli ultimi decenni, tanto da averci costretto a coniare l’acronimo PUN per indicare
l’insieme dei partiti nazionali indifferenti alla crescita economica, sociale e culturale del
Sud.
Eppure il PIL (prodotto interno lordo) del Nord si basa essenzialmente sulla vendita di
beni e servizi al Sud, mentre lo scambio import-export tra le due aree del paese è
interamente a vantaggio del Nord, tanto che riesce difficile comprendere come un’intera
classe politica, sostenuta dai media, abbia potuto nell’ultimo trentennio pensare che
lasciare il Sud senza infrastrutture e servizi potesse avvicinare il Nord all’area ricca
dell’Europa. E’ del tutto evidente che abbassare il tenore di vita dei meridionali ne ha
limitato il potere d’acquisto e di conseguenza il PIL delle regioni più avanzate
economicamente d’Italia.
Infatti, sempre dal Rapporto Italia 2020, si rileva che per 45 miliardi annui di
trasferimenti da Nord a Sud ben 70,5 miliardi si trasferiscono in direzione contraria. Dati
a noi ben noti visto che Pino Aprile nel suo recente “L’Italia è finita”, citando gli
economisti Paolo Savona, Riccardo De Bonis della Banca d’Italia e Zeno Rotondi
autore di “Sviluppo, rischio e conti con l’estero delle regioni italiane”, ha indicato lo
stesso saldo attivo per il Nord.
Chiaro il monito del Presidente dell’Eurispes: «… ogni ulteriore impoverimento del
Sud si ripercuote sull’economia del Nord, il quale vendendo di meno al Sud, guadagna
di meno, fa arretrare la propria produzione, danneggiando e mandando in crisi così la sua
stessa economia».
Tuttavia, nonostante l’analisi socio-economica dell’Eurispes, l’altro giorno il
Governatore del Veneto Luca Zaia, in un’audizione alla Commissione Parlamentare per
le questioni regionali, ha continuato a sostenere il suo progetto di Regionalismo
differenziato continuando a riferire di sprechi e di cattiva amministrazione al Sud,
mentre anche il neo rieletto Presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini sembra
spingere nella stessa direzione.
Una direzione che nel corso degli ultimi dieci anni ha visto aumentare le
disuguaglianze sociali ed economiche tra aree geografiche diverse e che lo Stato, tenuto
per Costituzione a rimuoverle, ha aggravato sostenendo una ripartizione territoriale per i
servizi pubblici in base al principio iniquo della “spesa storica”.
Disuguaglianze che, proprio attraverso il Regionalismo Differenziato, i Governatori
delle regioni del Nord e i partiti nazionali del PUN (Lega, PD, FI, FDI) vorrebbero
conservare stabilmente.
Sta maturando il tempo in cui questi partiti nazionali, per lo più portatori di
propaganda spicciola, pagheranno il prezzo di scelte politiche che hanno imposto
condizioni di vita e di lavoro drammatiche ai cittadini del Sud, due milioni dei quali
sono dovuti dolorosamente emigrare negli ultimi decenni.
*Cofondatore del Movimento24agosto per l’equità territoriale
1 https://eurispes.eu/news/eurispes-risultati-del-rapporto-italia-2020/