Di Laura Iorio
Qualche tempo fa, forse più di qualche tempo fa, stavo curiosando su Instagram e, colpita da una Story dei QuietEnsemble, inizio a chattare con Fabio Di Salvo. ‘Certo che non mi fate mai sapere quando organizzate qualcosa…?!?’ Fabio mi risponde che erano immagini del giorno prima del concerto di Liberato, in occasione del Festival Club to Club di Torino. Lui scrive e io non capisco neanche una parola. “‘Liberato, chi? – gli chiedo – Mi dai il suo cognome?”. E lui: ‘Si chiama solo Liberato’.
Curiosa, vado su Spotify e digito il nome di questo cantante napoletano. Lo ascolto e mi piace all’istante. Mi piace così tanto che ascolto le sue quattro canzoni per l’intera giornata. E più lo ascolto, più mi piace. Lo faccio ascoltare anche a Fabio (mio marito) che mi prende in giro perché mi piace un neomelodico.
Non me la prendo. Anzi inizio a fare le mie ricerche sul personaggio misterioso e ne parlo con chi mi può raccontare qualcosa in più. Poi, qualche mese fa, scrivo a Fabio Di Salvo. ‘Il 15 giugno siete a Barcellona?’ E lui. ‘Già si sa?’ In realtà, non avevo avuto nessuna ‘soffiata’, avevo solo letto un articolo del magazine Rolling Stone che annunciava la presenza di Liberato al Sónar di Barcellona.
Allora scrivo a Roberto, il mio caro amico napoletano che vive a Barcellona e gli chiedo ‘Conosci Liberato?’ E lui, profondo conoscitore della musica, mi risponde ‘Certo che sì’: gli propongo di acquistare i biglietti, volevo andare a sentirlo! Nei mesi che mi separano dal concerto, leggo, indago con chi può sapere, mi faccio qualche idea sull’identità del cantante sconosciuto, apprezzo i video di Lettieri che sono una vera poesia.
Lo scorso fine settimana, finalmente sono al Sónar di Barcellona. Mai sentito neanche di questo festival: un laboratorio di idee, un concentrato di “musica avanzata” intesa come cultura e arte contemporanea, un mondo nuovo che ho voglia di scoprire e approfondire.
Alle 15.00, come una quindicenne al suo primo concerto, insieme a Roberto, siamo alla Sónar Hall. Conquisto la transenna in prima fila e di lì non mi schiodo. Sono le 16.30 e il concerto sta per iniziare. I ragazzi che mi circondano, quasi tutti napoletani, iniziano a ballare. Io, di fronte ad una cassa, per poco non vengo spazzata via dal suono. È buio. L’aria è così densa che neanche si riesce a respirare. La luna dei QuietEnsemble si infiamma. Entra finalmente Liberato. È il delirio di urla e di napoletano. Io mi godo lo spettacolo: faccio video, foto, dirette su Instagram, ballo. Insomma, una ragazzina.
Liberato canta. Le sue canzoni continuano a piacermi un sacco. Non riesco a vederlo (eppure sono distante da lui neanche 10 metri): il cappuccio e la bandana lo mimetizzano completamente.
C’è un’atmosfera magica. C’è calore e armonia. C’è tanta energia buona. C’è orgoglio per la mia terra. E tutto questo grazie a Liberato, piccoletto, magro e anche tanto giovane (me lo sento). Ultima annotazione: credo sia timido così tanto che avrei voglia di dirgli ‘que te vaya bien’ come ho imparato a dire durante lo scorso weekend a Barcellona.