Di Bianca Fasano
Raccontare e raccontarsi è parte della vita di ogni uomo. “C’è un momento nel corso della nostra vita, in cui si sente il bisogno di raccontarsi in modo diverso dal solito. “Capita a tutti, prima o poi …. da quando forse, la scrittura si è assunta il compito di raccontare in prima persona quanto si è vissuto e di resistere all’oblio della memoria….”[1]
Anche quanti credono fermamente di essere esclusi dalla prerogativa del narrare, in realtà vivono il racconto di se stessi o di fatti, in ogni momento della giornata. Pur non volendo parlare di quanti scrivono di sé nei diari, o raccontano fiabe i loro bambini, per addormentarli, anche soltanto il fatto di spiegare a qualcuno come si è svolto un incontro di lavoro, un incontro sentimentale, un fatto a cui si è assistito in treno, in bus, per strada, in un contesto qualsiasi, è un raccontare e, nello stesso tempo, un raccontarsi, perché si prospetta se stessi come attori di una scena in cui si era in qualche modo inseriti ed a cui si è assistito come spettatore-testimone oculare.
Noi ci raccontiamo, anche quando pensiamo, riflettiamo sulle nostre azioni compiute o da compiere. Il raccontarsi con uno psicologo è un raccontarsi terapeutico, mo lo è anche nel momento in cui ci consoliamo di una nostra difficoltà, di una sofferenza, di una delusione, raccontandola ad un amico, ad un parente, a qualcuno insomma che ci ascolti benevolmente o anche criticamente.
Il raccontare della figura femminile, sia in tempi storici differenti sia in contesti sociali differenti, ha ovviamente assunto caratteristiche, appunto, differenti. Mi ha colpito il personaggio straordinario di Shahrazad [2] che per circa tre anni allieta la mente del sultano Shahriyà; Shahrazad, secondo il filologo arabista Francesco Gabrieli[3], non è mai esistita, al contrario di altri personaggi presenti nelle novelle di cui c’è certezza storica. L’unica certezza è divenuta, tuttavia, la storia-cornice, secondo l’uso di molte opere narrative sanscrite, dove Shahrazàd è il personaggio che dà significato a tutto il Corpus novellistico e che è rimasta immutata in tutte le edizioni mediorientali e occidentali che si sono succedute nel corso dei secoli. Se risalgono fra la fine dell’VIII e gli inizi del IX secolo, i primi manoscritti arabi di trascrizione delle antiche novelle indo-iraniche insieme a quelle di tradizione greca, nuclei originali della cultura orale di quei popoli, le storie hanno subito in Europa, sin dall’epoca medievale, un “complesso procedimento di transcodificazione”, e anche, di aggiunte di ulteriore fantasia. Shahrazàd, invece, non ha mai subito trasformazioni, anzi, e non è mai scomparsa. E’ una figura vicina a quella di Omero che ha attraversato tutti i secoli, Shahrazàd, infatti, come simbolo o assonanza, si ritrova negli scritti di molti letterati del Novecento al pari di quella di Ulisse[4], per cui possiede una vitalità, quasi eterna che ha sempre suscitato curiosità ed oggi, in tempi storici e storiografici differenti, suscita ulteriori e molteplici riflessioni sia nel mondo arabo sia nel nostro, non più esclusivamente letterarie e in ottica maschile. Muovendoci otticamente nell’epoca di Shahrazàd, e operando nel nostro mondo della tradizione possiamo ritrovare le nostre antiche radici di cultura orale e per riscontrare se ci siano delle permanenze principalmente nella storia comune del nostro Meridione, che potessero esser messe a comparazione con quegli antichi usi e costumi di popoli
ritenuti a lungo in Occidente lontani e diversi, privi di possibili somiglianze.
In fondo le Mille e una notte ritrae la storia antica di tanti popoli, attraverso un affollamento di personaggi senza confini né geografici né ideologici, né religiosi.
Shahrazàd, figura senza tempo, si muove nell’ottica di questa molteplicità globalizzante di popoli e diviene nell’immaginario maschile, simbolo dell’erotismo, diventando anche incentivo per la Secherazada di Nikolaj A. Rimskij Korsakov[5], e di Maurice Ravel[6].
Leggendo l’introduzione (di anonimo), de Le mille e una notte, possiamo incontrare la descrizione che si fa di Shahrazàd, figlia del Visir:-“… coraggio superiore al suo sesso, uno spirito singolare ed una meravigliosa perspicacia. Essa aveva molto letto, aveva una memoria prodigiosa, aveva studiato la filosofia, la medicina e la istoria, le belle arti e componeva versi, meglio che i più celebri poeti del suo tempo (quale tempo?), Oltre di ciò era ornata di una perfetta bellezza ed una vera virtù coronava le sue belle qualità ed il Visir amava appassionatamente questa figliola veramente degna del suo amore”-Una donna davvero eccezionale che si assume il compito di liberare il luogo dove vive da un eccidio numericamente notevole. Difatti: in un anno, fatto di trecentosessantacinque giorni, così come recita l’introduzione, “Ed ogni giorno eravi una fanciulla maritata ed una donna morta”.
In che modo giunge Shahrazàd alla soluzione del problema? Ella si rivolge al Visir:- “Padre mio, devo chiedervi una grazia”-
-“Io non ve la negherò- purché sia ragionevole”-
“ho in mente di fermare il corso di barbarie che il sultano esercita sopra le famiglie di questa città”-
-“La vostra intenzione è molto lodevole ma il male al quale volete porre rimedio mi pare irreparabile”-
.”Padre mio, giacché per vostro mezzo il sultano celebra ogni giorno un nuovo matrimonio, io vi scongiuro di procurarmi l’onore di essergli moglie”.
Ed ecco che, dopo avere lungamente dibattuto la cosa con il padre, riesce nel suo intento e, con l’aiuto della sorella con cui si era accordata da prima, inizia a concatenare una all’altra le sue novelle notturne richiamando personaggi già raccontati per descriverli in altre situazioni.
Il suo narrare[7] assume il valore non soltanto di una voluta memoria da condividere con il suo sposo-sultano, ma di elemento necessario della conoscenza, come, cioè, un a-priori della relazione umana. Lei adulta raccorda la fantasia e il meraviglioso, propri di
una mente infantile, rielaborando la molteplice realtà umana e le multiple modalità individuali, tratteggiandole al sultano con erudita leggerezza e divertimento reciproco.
Ripensare a Shahrazàd dovrebbe anche restituire al corpus dei racconti la loro origine, che si è persa nella frammentazione con cui questi sono stati narrati sotto forma spesso filmica, decontestualizzati e quindi non più pensati dalla mente e raccontati da Shahrazàd. E’ ovvio che sembra un eccesso di fantasia attribuire la narrazione delle storie ad una Shahrazàd reale, non essendoci di lei, certezza storica, ma non è senza verità che possiamo dire di non avere certezza storica neanche di Omero.
E’ lecito credere che, come le storie orali raccontate da Omero, quelle di Shahrazàd potessero svolgere funzioni sia rispetto al mantenimento dell’ordine sociale che nel promuoverne il mutamento. D’altra parte (ahimè), La modalità dell’attesa, come quella della pazienza, sono state riconosciute come caratteristiche essenziali del genere femminile, metafore del generare e del lavoro di cura.
Note:
[1] (D.Demetrio – “Raccontarsi” p.1). Ed. Raffaello Cortina
[2] Nome persiano che significa “nata in città”
[3] F. Gabrieli, traduttore e coordinatore dell’opera integrale condotta su una ristampa
dell’edizione di Bulàq e sulla seconda edizione di Calcutta, è pubblicata da Einaudi nel
1848.
[4] Gli studi omerici in Occidente, non hanno mai avuto interruzione e la figura di Ulisse è interpretata in numerose discipline.
[5] La suite sinfonica è del 1888.
[6] Le tre liriche per canto e pianoforte sono del 1903.
[7] Tahar Ben Jelloun (scrittore marocchino, impegnato nella lotta contro il razzismo), paragona il particolare modo di raccontare di Shahrazàd all’attuale genere della fiction, “sia essa letteraria, teatrale o cinematografica, per non parlare dei serial televisivi che di questo principio hanno conservato soltanto l’ossatura e il congegno”.