Guardava il mare. Gli scogli raccoglievano la schiuma di un mare in tempesta. Il suo cuore era nella tempesta, era come quel mare che con rabbia, infrangeva gli scogli. Gli scogli adagiati a guardare l’orizzonte lontano.
Marzia ascoltava il rumore del mare, il rumore che sentiva anche nella conchiglia dell’estate 1994. Che bella estate! Era giovane, nel 1994. Un fisico scolpito. E sorrideva spesso nel 1994. La comitiva del mare era di dieci persone. Ogni sera si usciva a ballare. Le luci sulla rotonda e gli abbracci con il ritmo della “Immensità” di Don Backy. E le parole della canzone: “Io son sicuro che, per ogni goccia per ogni goccia che cadrà, un nuovo fiore nascerà e su quel fiore una farfalla volerà…”, le risuonavano. Vedeva la scena di come il ritmo, sinuoso, avvolgeva i ragazzi e le ragazze.
Erano ragazzi esuberanti. Erano giovani. Estate 1994…eravamo ragazzi esuberanti.
“Ora chi sono? Guardo il mare. Il mare non mi risponde. Chi sono?”-pensava- Marzia. Nel 1994, voleva un lavoro. Voleva un figlio.
Il problema è che Marzia aveva tutto, adesso. Aveva un figlio, Carlo. Aveva un lavoro e dirigeva un ufficio. Era una donna in carriera, un figlio, brillante che stava scrivendo la tesi. Non era felice. Marzia, eterna insoddisfatta?
Non poteva essere così. Non era così. Il marito Alberto, usciva con gli amici, compagni di cene luculliane nei vari ristoranti da intenditori da provare. Era tutto da provare.
E lei cosa provava? Nulla. Lei seguiva l’esistenzialismo di Camus. La negazione di un “nulla”. La sofferenza animosa per il “nulla”. Non poteva ridurre tutto al nulla.
“Dai, andiamo a prendere un caffè?”, disse Laura.
“Dammi il tempo di truccarmi”, rispose Marzia.
Il bar era con tavolini eleganti, tra tendine colorate.
“Mi annoio. Le vacanze sono una noia. Poi oggi, il mare è tempestoso. Il mare mi prende sempre in giro”.
E Laura: “Ma scusa, ma cosa ti manca? Hai sempre quel velo di tristezza. Perché?”.
“Ho sbagliato. Ho fatto scelte sbagliate. Sono felice per Carlo, che sta per laurearsi. Carlo è la cosa più preziosa di questa mia vita insulsa”.
“Non dire così. Sei una veterana, sei rispettata sul lavoro. Ti riconoscono come una persona competente. Un marito, un classico marito lo hai…Io sono sola. Sono con mamma e il gatto Romolo. E’ vita, la mia?”.
“Il tuo gatto è bello. Tua mamma è simpatica. Puoi fare ciò che vuoi e sei libera. Non hai legami. Meglio…Io sono in una prigione figurata. Nessuno mi ascolta. Mi dicono che devo ascoltare..”.
Marzia, soffocò altre parole con un sorriso. Non aveva scelta e non poteva dire cosa le imprimeva sull’anima.
Si mise a scrivere. E scrisse: “Io so cosa mi manca. Non sono stata vicino a mamma. Lei mi voleva ed io tra le tante cose, non le ho mai dedicato il tempo giusto. Si è ammalata e ha fatto delle scelte, con la legge sul biotestamento, ha voluto, morire. Quella notte, mi disse che per lei, quella non era vita. Lei era uscita con le amiche, poi l’infarto, l’ aveva assalita. Aveva 85 anni e i medici, avevano detto che con il 40% della funzionalità del cuore, doveva cambiare vita. Mamma, quella notte hai detto che non volevi quel tipo di vita. Hai sottoscritto e rifiutato le cure. Hai scelto di andartene. E’ questo che mi fa soffrire. Perché te nei andata? Perché? Perché? Devo convincermi. Hai voluto così”.
Calde lacrime, inondavano il viso. Doveva accettare. Era questo che doveva superare.
Domani il cielo poteva essere terso. Domani poteva essere una magnifica giornata. Domani, poteva ricominciare. Domani, sulla spiaggia, poteva sorridere al sole.
Rosa Mannetta