di Bianca Fasano
Me la restituirono “dopo San Patrignano”, ma non era più “la mia” Aurora. Tornò di sua volontà alla sua casa e sembrò riprendere la vita di sempre. Il mattino era una gioia risentire il suo passo nella cucina grande dell’appartamento. Anche Gino si alzava più lieto, con un sorriso che non gli ricordavo. E i due ragazzi, senza bisogno della mia voce, si alzavano anch’essi, al suono dei passi dl Aurora. Lei però non raccontava nulla della sua esperienza nella “Comune”, non diceva una parola sulla morte di Giacomo e questo mi convinceva della sua attuale incapacità di essere autenticamente, con il corpo e l’anima, assieme a noi e soprattutto a me: sua madre.
Aurora non era stata in piano ”nel giro”. Non aveva rubato, non si era prostituita per la droga, non si era “bucata” con le siringhe infette passate di mano in mano. Aurora aveva appena sfiorato quel mondo e l’aveva fatto per amore di Giacomo, per capire lui, forse per finire come lui, non riuscendo a salvarlo. Morto Giacomo non aveva trovato molto difficile “venirne fuori”. Ma inutile forse sì. In breve tempo Aurora riprese a studiare per gli esami universitari, a frequentare i corsi, ad uscire con i vecchi amici, a pranzare con noi e a giocare con i gemelli. Mio marito continuò a sorridere, disteso, illudendosi che nulla fosse accaduto. “Tutto” era invece accaduto e non si poteva fingere di ignorarlo. A circa un mese dal ritorno di Aurora la cercai io: entrai senza bussare nella sua stanza e la trovai con un libro tra le mani e lo sguardo oltre i vetri del balcone. Nel vedermi mi fissò seria. “Vorrei portarti con me per una decina di giorni ad Assisi”. Le dissi subito. “Ho gli esami”. Si oppose lei. “Hai prima di tutto te stessa …” Risposi categorica.
“Bene, mamma, immagino che tu abbia ragione, debbo proprio”.
Tra me restai quasi sconvolta per Ia facilità con cui aveva accettato la mia decisione. Non era da lei. Ma non mi formalizzai.
Assisi era stata per anni la meta dei nostri viaggi di fine estate. Partimmo alcuni giorni dopo questo dialogo. Gino era perplesso e perse il sorriso. I ragazzi protestarono perché non avrebbero potuto essere con noi. Facemmo il viaggio in auto, io alla guida e lei con gli occhi fissi sulla strada. Senza una parola. Io pensavo a Giacomo, che era stato il ragazzo sbagliato e mi chiedevo perché la mia ragazza così saggia e gentile avesse dimenticato se stessa per lui e dove fosse in quel momento il Dio della mia fede. Ci fermammo come sempre in una pensione di Assisi: dalla nostra finestra si scorgeva tutta la pianura e la cupola di S. Maria degli Angeli, la Chiesa sorta sulla “Porziuncola”. Anche Aurora guardò fuori con il viso disteso, ma come indifferente.
– “Dovette avere molto coraggio Francesco per lasciare la sicurezza della sua città e della sua casa e recarsi nella vallata a riparare la piccola Chiesa… ” Disse come tra sé.
– “Non aveva paura perché aveva fede”. Risposi. Aurora mi regalò un sorrisetto tirato e finalmente ammise:
– “Io invece non ho fede più in nulla ed ho paura”. Poi uscì. Restai sola, nell’aria serena di un tramonto tersissimo, come lavato dalla pioggia che era caduta copiosa al nostro arrivo. Aurora rientrò verso sera e ci recammo a mangiare qualcosa. Quella notte la sentii rigirarsi a lungo nel letto, mentre fingevo di dormire. Si alzò all’alba e, dopo una rapida toletta rifece il suo letto: una abitudine presa alla “Comune”, certamente. Rimpiansi la mia figliola disordinata e serena che abbandonava maglie e pantaloni ovunque. La lascia uscire sola, perché nessun controllo poteva salvarla da se stessa. Passarono così due giorni. Io feci la turista, visitai la Basilica inferiore e superiore di S. Francesco ed osservai gli affreschi di Giotto, seguendo il segno dei restauri. In terza giornata Aurora mi propose di visitare di nuovo S. Damiano, il luogo presso cui si era rifugiato Francesco e nella cui chiesetta minuscola, innanzi al Crocifisso ligneo e dipinto, aveva trovato la “sua” strada. Finalmente mia figlia mostrava interesse di nuovo per qualcosa e, soprattutto, mi coinvolgeva in un suo desiderio. Giungemmo all’ora della massa e restammo incerte in piedi fuori dell’arco dell’ingresso. C’era un coro di voci giovanili provenienti dal fondo e sapevo trattarsi della voce dei monaci. Le panche erano tutte occupate da giovani stranieri in preghiera. La bellezza di Assisi sta anche nel fatto che Francesco sembra attirare ragazzi e ragazze con il suo entusiasmo e la sua fede senza tempo Una testa bionda, ornata da una lunga treccia, restò chinata fin dope la fine della funzione e non vidi in volto la donna, che intuii non dovesse avere più di venti anni. Guardandomi interno non vidi più neanche mia figlia. Un gruppo di persone parlava davanti all’ingresso: tra loro due frati che sembravano adolescenti, al massimo ventenni per l’espressione incantata, dolce, serena. Una madre abbracciava il figlio vestito del saio e lui, gentile ma come distante, lasciava fare. I gruppi si sciolsero con uno stringersi di mani. Un francescano forse diciottenne tornò indietro per ricordare agli amici: “…Mi raccomando la preghiera!”
In quel momento della porta del Chiostro di S. Chiara venne fuori mia figlia. Quasi non la riconoscevo: il volto acceso aveva perso la rigidità degli ultimi anni. Con lei avanzava un giovane bruno, alto e snello, con sul volto l’espressione che ogni mamma vorrebbe scorgere sul volto di sue figlio: un misto di allegria, innocenza e fiducia. Il ragazzo sarebbe parso a me in quel memento l’essere più adatto per la mia Aurora. Ma indossava un saio francescano. Si avvicinarono al luogo dove ero io, parlando tra loro con grande spontaneità. Lui sembrava felice. -”Mamma, ti presente Roberto!”-
-“Molto lieto signora, la pace sia con voi…”-
-”Ciao Roberto…”- Osai appena rispendere.
-“Mi dovete scusare adesso, sono atteso. Ma ci rivedremo, penso…”
-“Ci rivedremo!”- Promise Aurora. E per la strada che conduceva ad Assisi lei mi parlò di Roberto, della sua famiglia, della sua casa, degli studi che faceva e di ogni particolare della sua vita. Poi aggiunse la sua età: ventisette anni! Non gliene avrei dato più di venti. Roberto dipingeva ed aveva diritti speciali e maggiori libertà. Roberto lavorava come decoratore di maioliche e conosceva tutti i segreti dell’arte perché era nato a Deruta, la “Città delle ceramiche”. Roberto scriveva versi ed accoglieva grandi personalità per visite guidate a S. S. Damiano. Roberto, infine, tra breve avrebbe conosciuto il Papa di persona, per regalargli un suo lavoro su terracotta, rappresentante S. Francesco che abbraccia il lebbroso.
-“Mamma, tu pensi che per lui io sia come il lebbroso per S. Francesco?”- Restai qualche attimo in silenzio e poi dissi:-
-“Gli hai parlato di te e Giacomo?”-
– “…Sì…”- “
– Allora ti amerà di più…”-
– “Sì, lui dice che é una legge divina quella di amare.”-
-” Amare tutto e tutti…”-
-“Sì mamma, tutto e tutti!”-
-” E’ difficile…”-
-“Sì, credo che per qualcuno possa essere difficile…”-
Non aprì più bocca sull’argomento “Roberto”per un paio di giorni. Assisi ci regalava la sua quiete, i suoi lunghi giorni di pace e nell’aria tersa dai temporali potemmo quasi ascoltare la voce di S. Francesco.Mio marito era inquieto: al telefono chiedeva:
– “State bene? Vi sono noie?”- Non c’erano noie e stavamo bene. Aurora usciva al mattino con i suoi jeans consumati portando con sé matite “grasse” e pastelli colorati come faceva un tempo e tornava a pranzo con le immagini che aveva “rubato” in giro: niente da temere, era serena. Aurora usciva al primo pomeriggio ed ascoltava la messa in S. Francesco, poi prendeva la nostra auto e si recava a S. Damiano. Ero sempre sola con le mie domande. Un giorno volli seguirla, mi recai in S. Francesco alla prima messa e vidi mia figlia in ginocchio, pregare in silenzio. La seguii in S. Damiano con un taxi, come una spia: e la vidi dialogare vivacemente con Roberto. Lui sembrava un ragazzo: era come illuminato dalla innocenza. Tornai all’albergo sconvolta. Il sesto giorno finalmente Aurora mi parlò:
-“ Mamma, credi che S. Chiara abbia seguito Francesco nel suo destino per amore?”-
-“Per amore, certo!”-
-”…Per amore di chi?”-
-“Di Dio, del genere umano e del Cristo.”-
-“Oppure per amore di Francesco? Per non perderlo, vivendo la sua esperienza?”- Sorrisi, mesta:
– “Come tu hai seguito Giacomo intendi?”-
-“Sì, come io ho seguito Giacomo.”-
-“Non lo so, potrebbe essere così.”-
-“E se adesso mi facessi Clarissa?”-
– “Forse ripeteresti lo stesso errore fatto per Giacomo.”- Risposi pronta. Lei tacque e mi sembrò che acconsentisse. Restai silenziosa per giorni, imponendomi di non scuotere la pace di Aurora, ma non ero in pace con me stessa. L’ultimo giorno ritornammo assieme a San Damiano.
-“Mamma, Roberto mi ha chiesto di parlarti.”- Disse Aurora. lo tremai. Roberto venne fuori dall’uscio di legno antico con quel suo giovane sorriso fiducioso. Ci stringemmo la mano.
-“Pace e bene.”-
-“Anche a te Roberto, sai che potrei essere tua madre?”-
-“Ma invece siete la madre di Aurora…”-
-“Sì.”-
-“Ho chiesto ad Aurora di potervi parlare.”-
-“Lo so.”-
-“Ma non ho poi tanto da dirvi: lasciate che sia fatta la Sua volontà”-
-“Come posso sapere quale sia?”-
-“Lui non parla con la voce, ma chi ha orecchio per intendere intende.”-
Mi rispose Roberto. Ci scambiammo un abbraccio appena accennato e Aurora lo baciò sulla guancia.
-“Arrivederci amica mia, se non avessi la mia Strada forse avrei scelto la tua…”- Disse Roberto ad Aurora con estrema semplicità.
-“Addio, Roberto!” – Rispose Aurora. E negli occhi scorsi le lacrime che non aveva pianto per Giacomo. Ci allontanammo assieme e ancora, in auto, lei si girò di nuovo: ma lui non c’era già più.