L’Irpinia è all’interno della regione Campania. Vivo ad Avellino tra i monti e la valle della antica Abellinum. L’inverno è lungo e rigido.
Ho i genitori che lavorano e io, dopo la scuola, sono nella mia fantastica solitudine. Marco mi chiama: “Hai scritto la relazione su Napoleone?”.
Ed io: “Si. Se vuoi te la invio per e-mail”.
“Si. Mi serve. Cambio alcuni termini”.
So già che questa sera usciremo per la solita passeggiata con il resto degli amici. La mia città è bella, ma negli ultimi decenni è stata relegata in un degrado poliedrico.
Poteva essere la bella città del Sud, ma l’incuria di amministrazioni poco attive, ha distrutto il suo senso urbano. Urbano, in quanto il classico Corso Vittorio Emanuele, è lastricato da diciamo, “pensiline” di acciaio, da panchine in metallo cromato.
Oggi esco e visito ciò che è rimasto dal terremoto del 23 novembre del 1980. Il terremoto distrusse la mia Irpinia.
“Carla, vogliamo andare al centro storico, verso le 18.30?”.
“Grazie, Maria Rosaria. Devo anche comprare dei rocchetti di cotone che sicuramente, troverò in quel negozietto all’angolo dello “Stretto”.
Il mio nome è Maria Rosaria, un nome tipico del Sud.
Il Sud da criticare. Il Sud da vivere. Il Sud criticato. In fondo mi trovo bene. Vado a scuola. Frequento gli amici, i miei genitori sono aperti, comunicano con me e cercano il dialogo. E mi ritengo fortunata. Mamma è più evoluta di me. Lei è trasgressiva e vive fuori dagli schemi. Gli schemi precostituiti.
Ed esco con Carla.
La Torre dell’Orologio è illuminata dal sole…la intravedo da lontano. Un giro tra i vicoli deserti.
Un gatto sornione, mi guarda. E poi, scappa via. I gradini di pietra sono particolari, in questo pomeriggio di luce.
Noto tanta luce. Gli occhi di Carla sono verdi. Ma il verde naturale è splendido!
Non dico nulla. Guardo il cortile con pensieri diversi.
“Perché questa zona è abbandonata?”.
Risposta inutile. Risposta impossibile. La ricostruzione dal 1980, è stata lenta. Molti edifici sono ancora dei ruderi che si sbriciolano nel tempo. Sono pietre che raccontano la violenza della natura e la violenza degli uomini.
E’ questo, forse, lo spettro del Sud: l’abbandono.
Esiste un patrimonio da salvaguardare, esiste un crollo demografico, una desertificazione industriale…
Ma poi, c’è quella allegria che non si trova. Ci sono quei piatti semplici e gustosi.
Amo il Sud, ma non sono campanilista. Considero il Sud, la terra in cui vivo e conosco i problemi della mia città. Problemi che sono quelli di un Sud che arranca, che non emerge.
Vado a rivedere cosa ho scritto nel mio diario.
E’ una piccola poesia:
LE CASE
Case arroccate
parlano al vento,
al sole.
Le città fremono tra
dolore e gioia,
fantasia e
tristezza.
Oscuri secoli
e poi nuove
case,
i bambini sorridono,
saranno uomini nuovi,
il nuovo Sud.
Ecco il Sud che desidero. Il Sud che descrivo con amarezza e con tristezza. Ne usciremo.
Racconto di Rosa Mannetta