Edward Luttwak è membro del CSIS Center for Strategic and International Studies di Washington (vedasi anche la critica al report del CSIS: Italy times Two), politologo esperto di problemi italiani. In questa intervista vengono trattati alcuni aspetti che riguardano il sud Italia. La posizione di Luttwak è particolarmente interessante, ed in alcuni versi addirittura controcorrente. Certamente la sua posizione sembra differire notevolmente da quella del report del CSIS citato

Perrelli Il Nord è otto volte piú ricco del Sud. Al di là dei dibattiti sul federalismo e delle sue virtú terapeutiche a lungo raggio, cosa si può fare al momento per ridurre queste abissali distanze?

Luttwak Sul concetto di Sud bisogna intendersi. Conosco molti italiani che sono stati in mezzo mondo e non si sono mai spinti in Sicilia e Calabria. Uno dei luoghi comuni piú classici, quando si parla della Sicilia, è di chiamare in causa la lupara. Se chiedi cos’è mai questa lupara, la risposta è: un fucile per cacciare i lupi. Invece la lupara è una munizione. Ma non lo sa nessuno. E a nessuno interessa neanche saperlo. E poi, cosa si intende per Sicilia della lupara? Quella orientale è ben differente da quella occidentale. Con queste generalizzazioni, il concetto di Sud è diventato un’astrazione che non tiene assolutamente conto della realtà. Ci sono zone in Puglia, per esempio, che come capacità produttiva e livello di reddito competono con le aree del Nord. E allora? Un fatto è assodato. La Sicilia, la Calabria, la Campania e la Lucania sono le regioni italiane che hanno ricevuto il massimo dei sussidi statali e che quindi hanno patito di piú le degenerazioni del sistema politico. L’aver creato artificiosamente leggi di impiego e norme per la tutela del lavoro ha condannato queste aree alla disoccupazione. Perché impiantare una fabbrica in Calabria, una zona cosí periferica rispetto al baricentro economico del paese, ha costi di trasporto esorbitanti. Per rendere la fabbrica competitiva, bisognerebbe abbassare i salari dei dipendenti. L’avere per legge fissato, invece, un minimo salariale uniforme in tutto il paese è stata la dannazione del Sud. E l’ironia è che chi si è battuto per questo salario uniforme passa per difensore dei lavoratori. Il primo provvedimento da prendere era quello di adeguare le paghe alle reali condizioni economiche di ciascuna zona. Sarebbe bastata quasta misura per far decollare la competività.

Perrelli Il governo ha già fissato condizioni di flessibilità per i livelli dei compensi e per la durata dei contratti nelle aree piú disagiate. Imoltre ha deciso di creare per decreto 100mila posti di lavoro per i giovani attraverso contratti di apprendistato e di formazione.

Luttwak Creare posti di lavoro per decreto è solo una forma di assistenzialismo mascherato. Si ricade nel vecchio vizio dello statalismo italiano. Per amor di boutade, si potrebbe dire che la Usl di Caltanissetta, provincia che detiene il record nazionale della disoccupazione giovanile, è l’istituzione piú costosa del mondo insieme con il Louvre e il Pentagono. L’introduzione della flessibilità è invece un provvedimento tardivo, ma sacrosanto. Sarà anche una banalità, ma è meglio lavorare anche solo un poco che rimanere disoccupati. Il salario unico, per un paese vario come l’Italia, è un meccanismo artificiale troppo rigido. Una dichiarazione di guerra contro i giovani, che sopravvivono con il piatto di minestra allungato dalla famiglia ma non trovano sistemazioni. UN giovane scapolo che risiede in un paesino del Sud ha bisogno per vivere di molti meno soldi di un suo collega piú anziano che a Milano deve mantenere moglie e figli. Il primo campa benissimo con due milioni al mese, il secondo con quella cifra muore di fame. Ignorare questa enorme differenza è solo un gioco malvagio. Rifiutare i bassi salari in nome di un’astratta equità significa solo condannare i giovani alla disoccupazione.

Perrelli Ma il numero dei ricchi al Nord è enormemente superiore. E questo squilibrio determina il fiorire di contrapposti egoismi. Il Nord si lagna perché non gli va di mantenere il Sud pagando molte tasse. Il Sud si lamenta perché è costretto a vivere di puro assistenzialismo. Chi ha ragione?

Luttwak Hanno ragione tutti. Il meccanismo perverso dell’assistenzialismo ha messo in difficoltà gli uni e gli altri. Quando un lombardo doveva versare 50 lire di tasse, Roma gliele dirottava subito al Sud, barattando il sostegno alle aree depresse col consenso politico. A volte di quelle 50 lire ne arrivavano a destinazione solo 20. E comunque in una maniera cosí distorta da impedire all’imprenditore di fare il suo mestiere. L’unico a trarne un tornaconto era il politico che gestiva il passaggio.

Perrelli C’è una corrente della cultura italiana, il meridionalismo, che ha prodotto fior di dibattiti accademici. È mai possibile che tutti queti intellettuali non abbiano mai partorito un’idea valida?

Luttwak La riforma piú importante e piú originale attuata in Italia è stata quella fiscale in Lombardia, alla fine del XVIII secolo. Nel Settecento la Lombardia aveva conosciuto un rapido declino a causa dei pesanti balzelli imposti dal sistema spagnolo. Rimaneva in piedi un po’ di industria, ma l’agricoltura era stata messa in ginocchio, le terre venivano sempre piú abbandonate. Caduto il governo spagnolo, i francesi hanno ingaggiato un gruppo di intellettuali napoletani per rimettere le cose a posto. E sono stati questi napoletani di grande ingegno a fare una riforma patrimoniale che nella sua semplicità era a dir poco geniale. Ogni cittadino doveva pagare le tasse solo sul valore della sua proprietà. Se avevi un pezzo di terra pagavi un tot. Se poi ne miglioravi la coltivabilità, investendo in nuovi sistemi di irrigazione, pagavi sempre la stessa tassa. Lo Stato non veniva a chiederti quanti chili di grano in piú avevi prodotto. Quindi c’era un grande incentivo a investire e produrre. E questo portò all’accumulazione di capitali che rese possibile la nascita di una grande industria. Pose insomma le premesse per la prosperità della Milano di oggi. Quato dimostra che l’ingegno meridionale ha avuto felici applicazioni fuori dal Sud. Ma lo Stato non ha mai permesso che trovasse sbocchi in casa propria. Le idee rimanevano frasi sterili. Lo Stato non aveva alcun interesse a valorizzarle, perché il progresso avrebbe distrutto la rete del clientelismo e gli avrebbe quindi impedito di controllare il territorio. Un vero impernditore non ha mai bisogno della protezione politica. Vuole solo un’amministrazione pulita ed efficiente.

Perrelli Ma perché allora i fallimenti vengono imputati anche alla presunta pigrizia delle popolazioni meridionali?

Luttwak Stupidaggini. Personalmente mi sento legatissimo al Sud da tre ordini di ragioni. La prima è che a livello turistico trovo il Sud molto piú interessante del Nord. Poi c’è una causa sentimentale. Palermo è la città dove i miei genitori decisero di trasferirsi nel dopoguerra. Appartenevano all’alta borghesia europea, avevano grandi mezzi, e potevano scegliere. Optarono per Palermo perché in quegli anni — e mi rendo conto che oggi sarebbe inimmaginabile — Palermo era una città che poteva attrarre gente colta e facoltosa. Era una delle mete della grande borghesia: come Taormina, Venezia, la Costa Azzurra. Deauville nei mesi piú caldi. C’è infine un motivo politico. Tutte le problematiche italiane piú affascinanti sono concentrate al Sud. È lí che crollano gli alibi della Prima repubblica. È proprio lí, dove lo Stato ha cercato di essere piú attivo, che anziché il progresso si è prodotto il massimo dello scempio.

Perrelli Sull’arretramento ha però influito anche la prepotente espansione della malavita.

Luttwak Prima c’è il sistema di corruzione politica e poi c’è la malavita. I vermi arrivano dopo che il dottore ha ucciso il paziente. Se il corpo è sano, i parassiti possono invece esercitare addirittura una funzione positiva. Come avviene in Giappone a OSaka, che ha per le strade piú malavita organizzata di Napoli. La polizia le permette di prendere il pizzo sui bordelli, sui night club, sui casinò, a patto però che tenga fuori dalla fascia urbana la droga. In Italia la delinquenza organizzata è solo il frutto dell’abbandono dello Stato. Ripeto, quando nel ’48 i miei dovettero lasciare l’Europa orientale perché in seguito agli eventi bellici avevano perso il 75 per cento delle loro proprietà, la scelta fu tra Venezia e Palermo. E andarono in Sicilia, che a loro avviso garantiva una qualità di vita superiore. Sí, c’era anche molta povertà. Ma dal punto di vista culturale Palermo era una perla. Si andava all’opera, io stesso a 5 anni ho assistito a un concerto di violino di Yeudi Menuhin che aveva molti estimatori in Sicilia. C’erano scrittori che producevano buoni libri. E la quotidianità era serena. Si passeggiava, si andava al mare, la sera si prendeva il gelato. La mafia era ancora confinata nelle campagne. C’era il bandito Giuliano nelle colline. Ma la malavita non aveva ancora distrutto l’ambiente cittadino, non aveva demoralizzato la società palermitana.