Il premier Giuseppe Conte e Matteo Renzi hanno già discusso duramente sul tema del cuneo fiscale. L’attuale presidente del Consiglio rivendica lo stanziamento pari a circa 2,7 miliardi da inserire nella legge di Bilancio, con l’obiettivo di ridurre il costo del lavoro. Il suo predecessore, Renzi, lamenta la scarsità delle risorse e, al tempo stesso, si attribuisce il merito di essere stato finora il solo ad averlo abbassato. Conte, poi, ha cercato di ridimensionare le tensioni, invitando tutti a confrontarsi nei vertici governativi, senza alimentare partite autoreferenziali o solitarie sui giornali e le tv. Ma nell’esecutivo allo scontro sulla tassazione dei redditi è destinato ad aggiungersi un ulteriore terreno di battaglia. Oggetto del contendere è il pacchetto di misure per la famiglia reclamato da Italia viva, il partito di Renzi. Una famiglia, un assegno. Ovvero 240 euro al mese per ogni figlio a carico, dalla nascita a 18 anni. E poi 80 euro fino ai 26 anni. A beneficiarne sarebbero 11 milioni di famiglie fino a 100 mila euro di reddito lordo annuo. Compresi dunque gli incapienti, quanti dichiarano meno di 8 mila euro e non ricevono le detrazioni per i figli perché non fanno la dichiarazione dei redditi in quanto esentasse. E compresi gli autonomi, privi sin qui di assegni familiari. Si studia anche un aumento del congedo di paternità a 10 giorni. II Family Act – o il “bonus nascita” come ora lo chiama la ministra della Famiglia Elena Bonetti – era la proposta elettorale del Pd nel 2018, elaborata dall’economista e attuale senatore del partito Tommaso Nannicini. Poi l’idea di un assegno unico si è guadagnata consensi trasversali. Matteo Salvini e Luigi Di Maio si dicevano pronti a realizzarla. II governo giallo-rosso l’ha messa nel programma.