Il responso plebiscitario della piattaforma Rousseau –  il 79,3% favorevole al governo M5S-Pd guidato da Giuseppe Conte-Luigi Di Maio ce l’ha già stampato sul sorriso che sfoggia mentre solca a lunghe falcate i corridoi di Montecitorio. Sono le 19.15 di una giornata lunghissima, sospesa tra il sì e il no della piattaforma digitale della Casaleggio associati, e da 45 minuti la piccola sala stampa della Camera è un ribollire di microfoni, cavi, telecamere e taccuini. Di Maio si è fatto annunciare per le 18.30 ma poi il ritardo e il contemporaneo blocco del blog delle Stelle carica di attesa le dirette televisive sulla trattativa per la formazione del nuovo governo. Ma poi la tensione si smorza quando il capo politico del M5S, finalmente raggiante dopo giorni trascorsi con la faccia tirata, prende la parola e annuncia la «straordinaria partecipazione» alla consultazione online e il «netto risultato favorevole» al varo nuovo governo. Che infine lui arrotonda a un «80% di sì». Dunque, argomenta Di Maio rivolgendo finalmente il suo «grazie al presidente Conte», il governo ora può partire: «Guardiamo a una legislatura che possa concludere il suo ciclo dei 5 anni, e in questa legislatura realizzare tutti i punti che sono nel programma». La notizia dei sì a valanga per il governo Conte 2, registrati sulla piattaforma riservata ai militanti grillini, rimbalza prima sui volti finalmente distesi dei tanti funzionari del M5S e del Pd accorsi ad ascoltare Di Maio e poi carambola in direzione del Nazareno dove il segretario dem Nicola Zingaretti, pur non citando mai la piattaforma Rousseau, è in attesa di poter dichiarare per marcare il passo in avanti registrato in giornata: «Con la chiusura del lavoro programmatico si è fatto un altro passo in avanti. Ora andiamo a cambiare l’Italia». In giornata, dunque, il presidente incaricato Giuseppe Conte salirà al Quirinale per sciogliere la riserva e, probabilmente, avrà già in tasca la lista con le proposte dei ministri da sottoporre al capo dello Stato. Conte ha confidato ai collaboratori l’emozione per quello che ritiene un successo personale, suo e di Beppe Grillo. Grazie al quasi 80% di sì tra gli iscritti 5 Stelle, Conte sente di aver conquistato quella «legittimazione» che gli consentirà di dar vita a un governo «forte, serio e stabile». Via i due vicepremier in perenne competition e via, probabilmente, anche i sottosegretari con stanze nel palazzo del governo. Tranne quello cruciale alla presidenza del Consiglio, casella sulla quale è in atto un aspro braccio di ferro. Luigi Di Maio spinge perché il posto del leghista Giancarlo Giorgetti – che proprio ieri ha salutato tecnici e collaboratori – venga occupato da Vincenzo Spadafora. Ma Conte non è convinto di affidare il ruolo più delicato a un esponente politico troppo targato 5 Stelle e molto vicino a Di Maio. Sulla poltrona che fu di Gianni Letta e di Maria Elena Boschi vuole un tecnico puro, un burocrate del calibro di Roberto Chieppa, attuale segretario generale della presidenza.

I Ministri. Per l’Economia il nome è Gualtieri. Limature e cancellature, ripetute fino a tarda notte, hanno accompagnato la stesura della lista dei ministri che già oggi il presidente incaricato Giuseppe Conte dovrebbe poter sottoporre al capo dello Stato. La lista, come da tradizione, sarà definitiva solo nel momento in cui Conte varcherà il portone del Quirinale. Per la poltrona di sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Conte vorrebbe un tecnico di sua fiducia: è molto quotato Roberto Chieppa (ora segretario generale di Palazzo Chigi) ma si pensa anche a Giuseppe Busìa (segretario generale della autorità garante della Privacy) che potrebbe così completare la squadra di Palazzo Chigi già affidata da Conte ad Alessandro Goracci (il suo capo di gabinetto preso in prestito dal Senato). Per i ministeri di prima fascia, sarebbero confermati Luigi Di Maio agli Esteri con i galloni di capo delegazione dei ministri del M5S, il prefetto Luciana Lamorgese al Viminale (anche se ieri sera sembrava tornato in pista il capo della polizia Franco Gabrielli), il dem Lorenzo Guerini alla Difesa (ma mille voci dal Pd spingevano Dario Franceschini), i grillini Alfonso Bonafede alla Giustizia e Giulia Grillo alla Salute. Stefano Patuanelli (M55), che da capogruppo al Senato ha maturato rapporti stretti con l’omologo renziano Andrea Marcucci, sarebbe finito ai Rapporti con il Parlamento. Liberando dunque la casella delle Infrastrutture assegnata alla vice segretaria del Pd Paola De Michell. Spetta al Pd indicare il responsabile dell’Economia. Per i democratici la prima scelta delicata è stata fra la tradizione degli indipendenti – dura dal 2011 – o un politico. Un tecnico aiuta a trattare con freddezza il tema più esplosivo, tasse e spese. Un politico ha le spalle più coperte in Parlamento quando si trattera di scontentare gruppi d’interesse. II Pd è orientato per la seconda ipotesi e punta su Roberto Gualtieri, vicedirettore dell’Istituto Gramsci e presidente (confermato) della Commissione economia e finanza dell’Europarlamento. Gualtieri, uno storico contemporaneista della Sapienza (autore di un libro su Dc e Pci fra 1943 e 1992) è molto apprezzato a Bruxelles come in Italia per la notevole caparbietà sul lavoro e la padronanza di regole e procedure europee sia nella finanza pubblica che sulle banche. E’ stato un protagonista delle trattative per rendere meno rigide le norme sugli aiuti di Stato agli istituti. Pochi conoscono come lui l’alfabeto non scritto dei negoziati finanziari di Bruxelles. Gualtieri in questi anni ha lavorato molto perché non partissero procedure sui conti dell’Italia (anche durante il governo Lega-M5S). II nuovo ministro avrà subito bisogno di queste sue qualità: dato lo stato dei conti, il governo dovrà partire negoziando a Bruxelles un aumento del deficit 2020. E neanche quello gli eviterà una manovra impegnativa.

Linee di programma giallo-rosso. «Per uscire dalla crisi serve un’alleanza forte con le imprese» ragiona Graziano Delrio, che da capogruppo dalla Camera è stato in prima fila nel lavoro di costruzione del programma. Per il resto, nei testi ufficiali dei nuovi piani di governo, invece, la «discontinuità» è decisamente più sfumata. Per due ragioni. Il bilancino di precisione utilizzato per costruire un’alleanza inedita fra Pd e M5S, nemici giurati fino a ieri e collocati su fronti opposti con il Conte-1 non ha permesso di andare molto oltre i confini del generico. E la situazione dei conti italiani non consente voli di fantasia ecco che i giallorossi puntano su «una politica economica espansiva senza compromettere l’equilibrio di finanza pubblica», come i gialloverdi evocavano un «appropriato e limitato ricorso al deficit». Ma una volta costruito il governo programmi di questo tipo fanno in fretta a uscire dal cono di luce. E le scelte operative si imporranno. Il Conte-2 si dovrebbe tenere lontano dal 3% di deficit a cui puntava la Lega per far partire la tassa piatta. Sulla politica economica, allora, per ora nei programmi dominano le assenze, più delle indicazioni esplicite. Mancano le mosse per cercare di fermare la risalita del debito, cioè del punto più critico del bilancio italiano, manca un obiettivo chiaro sul deficit, e sulle altre leve centrali rappresentate da tagli di spesa e tax expenditures, e quindi dalla pressione fiscale, manca l’aspetto più importante: i numeri. Più che sulle prospettive generali, allora, il cambio di governo si traduce in un dato pratico: esce di scena l’ipotesi di spingere il deficit fino ad avvicinarsi al 3% del Pil, come chiedeva la Lega per fare spazio al nuovo modulo della Flat Tax. E rischia di seguire una strada simile anche quota 100, oggetto quanto meno di una revisione già dai prossimi mesi. Un po’ di disavanzo in più rispetto a quanto fin qui concordato con Bruxelles, comunque, si farà, spuntando «nuovi margini di flessibilità» dalla commissione. Per dare gambe alla manovra, stando al testo generico delle bozze programmatiche diffuse ieri, si useranno quattro strumenti: un nuovo tentativo di spending review, la revisione delle tax expenditures, la lotta all’evasione fiscale e la web tax.

Gentiloni verso la commissione Ue. Con la formazione del nuovo governo giallorosso anche la casella del commissario italiano sarà riempita e la presidente eletta della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, potrà finalmente completare il puzzle dei portafogli. La scadenza per presentare i nomi era il 26 agosto. Sarà Paolo Gentiloni il nuovo commissario europeo italiano. La scelta del governo giallorosso è stata comunicata tramite canali informali la scorsa notte allo staff di Ursula von der Leyen, ansiosa di avere l’ultimo nome per completare la squadra che dovrà sostituire il primo novembre quella di Jean-Claude Juncker. Conte ha quindi promesso che la designazione formale da parte del governo arriverà subito dopo il giuramento, già oggi o al massimo domani. D’altra parte la tedesca ha dovuto pazientare diversi giorni rispetto alla scadenza del 26 agosto, ma a Bruxelles non si nasconde il sollievo per l’archiviazione dei sovranisti di Salvini e della prospettiva di un aspirante commissario leghista che avrebbe rischiato la bocciatura all’Europarlamento e le cui scarse competenze avrebbero reso impossibile dare all’Italia la Concorrenza, il portafoglio chiesto sin da luglio da Conte. Ed è proprio sul portafoglio che ora parte il delicato negoziato tra Roma e Bruxelles. Von der Leyen a questo punto deve chiudere in fretta, assegnare le deleghe per dare modo ai commissari di prepararsi per le insidiose audizioni a Strasburgo di fine mese. Lo farà già a inizio della prossima settimana. Dunque i prossimi giorni saranno occupati da frenetici negoziati con le capitali, impegnate a piazzare al meglio i propri candidati. L’ex ministro tedesco ha fatto sapere a Conte che intende dare all’Italia un riconoscimento per il ritrovato spirito europeista, pronta a concedere quanto chiesto finora dal premier: una vicepresidenza della Commissione con delega alla Concorrenza.