La sensazione che l’annunciata riduzione delle imposte, sia pure parziale e minimalista, fosse solo un miraggio, lo si era capito subito, fin dai primi calcoli sulla Legge di Stabilità varata dal governo. Giorno dopo giorno, quella poco gradita sensazione di aver coltivato solo una pallida illusione si sta trasformando, però, in una amara certezza per gli italiani. Basta leggere le tabelle di bilancio allegate alla manovra del 2014 per scoprire che, nel prossimo triennio, secondo i calcoli del ministero dell’Economia, Imu e Tasi (l’imposta sui servizi indivisibili che ha sostituito quella sugli immobili) hanno lo stesso valore, portano nelle casse dello Stato l’esatto gettito di 3,764 miliardi di euro. Tecnicamente si compensano a vicenda.
E’ vero che, come ha precisato il ministero dell’Economia, la Tasi in realtà comprende sia l’odiata Imu che la vecchia Tares, entrambe abolite. Sommando le due imposte i Comuni possono contare su un incasso di 4,7 miliardi, uno in meno rispetto a quello garantito dalla sola Tasi: la differenza sarà compensata dal Tesoro con trasferimenti diretti. Ma attenzione: il calcolo fatto in via Venti Settembre tiene conto solo dell’aliquota standard della nuova imposta, pari all’1 per mille. In realtà, i Comuni, per esigenze di cassa, possono far lievitare l’aliquota fino al 2,5 per mille e, in questo caso, il gettito della Tasi salirebbe oltre i 9 miliardi, quasi il doppio rispetto alla somma della vecchia Imu e della Tares.
E’ presto, ovviamente, per avere un quadro definitivo di quanto effettivamente il nuovo sistema di tassazione sugli immobili peserà effettivamente sulle tasche degli italiani. L’unico dato certo, per il momento, è che la pressione fiscale sulla casa non è affatto destinata a calare. Forse, qualche vantaggio effettivo potrebbe esserci nel 2013 se davvero il governo manterrà fede all’impegno di cancellare il pagamento della seconda rata dell’Imu. Me, per il 2014, le nuove sigle con le quali dovremo familiarizzare, dalla Trise alla Tasi, non porteranno degli effettivi vantaggi. E, nella migliore delle ipotesi, gli sconti saranno davvero minimi.
Certo, le condizioni per ridurre le imposte, con il debito pubblico che ci troviamo sul groppone e con un’economia che arranca, non ci sono. Lo ha ribadito più volte il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, geloso e rigoroso garante, anche nei confronti dell’Europa, del risanamento dei conti pubblici. Ma forse, una parola più chiara da parte del governo (e dei partiti) sulla reale situazione e, soprattutto, sul fatto che cambiare nome alle imposte non coincidesse, automaticamente, con una loro riduzione delle tasse, sarebbe stato opportuno. Se non altro per evitare, usando un eufemismo, sgradevolissime delusioni.
Antonio Troise
fonte: l’Arena
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