Tagli alle pensioni d’oro ma anche reddito minimo per chi ha più di 55 anni e che non ha più lavoro. Tito Boeri, economista di rango e presidente dell’Inps, torna alla carica. Ha detto fin dal primo momento che voleva smantellare il vecchio impianto della riforma Fornero. E, ieri, a debita distanza dalla legge di stabilità (che ha rinviato al 2016 ogni ipotesi di ritocco della previdenza), ha scoperto le sue carte, sollevando più di un malumore a Palazzo Chigi e spingendo il ministro del Lavoro, Poletti, ad un’affrettata difesa d’ufficio. Ma ormai il dado è tratto e il cantiere pensioni è, da questo momento, ufficialmente aperto. Le ricette in campo sono diverse, la coperta delle risorse pubbliche resta molto corta e non mancheranno scontri e polemiche. Su un dato, però, sono tutti d’accordo: l’attuale sistema contiene molte iniquità e, soprattutto, rischia di far saltare quel patto tra le generazioni che costituisce il vero pilastro di ogni sistema di welfare.
L’innalzamento repentino dell’età pensionabile, introdotto dalla legge Fornero sulla spinta dell’emergenza finanziaria, ha ulteriormente allargato il fossato fra coloro che hanno lasciato il lavoro con regole più o meno favorevoli e quelli che, invece, sono costretti a prolungare l’attività fino ai 67 anni percependo, alla fine, un assegno molto più basso rispetto al passato. Un dato per tutti: attualmente nel bilancio dell’Inps c’è ancora un piccolo esercito di oltre 500mila persone che hanno usufruito delle cosiddette “baby-pensioni” e che percepiscono un assegno dell’Inps che per oltre l’80% è coperto dai contribuenti e solo per il 20% dai contributi effettivamente versati. Un capitolo che costa ogni anno circa 9 miliardi di euro. Se a questo aggiungiamo i 3,3 miliardi necessari per pagare le pensioni oltre i 90mila euro e i vitalizi alla cosiddetta “casta”, è ovvio che i conti non possono tornare.
Dice bene Boeri: non è solo un problema di cassa, ma soprattutto di equità. Ma, proprio per questo, le nuove regole previdenziali andrebbero riscritte avendo un solo obiettivo: la lotta contro le diseguaglianze. Già in varie occasioni il governo è ricorso al prelievo sui trattamenti previdenziali più alti per far quadrare le finanze dello Stato. E’ ora, invece, di pensare ad un meccanismo che redistribuisca le risorse all’interno del sistema, allargando il tema della previdenza a quello, più generale, del Welfare. Le pensioni sono solo un tassello del sistema di “assistenza sociale”. E, dopo otto anni di crisi, andrebbero sicuramente adeguate al nuovo contesto economico. Il piano-Boeri ha avuto l’effetto di lanciare un sasso nello stagno. Ora, però, spetta al governo dire la sua e definire, al più presto, le sue proposte di riforma. L’unica cosa che non si può fare è navigare a vista, con Inps e governo che parlano lingue diverse. Su questo terreno occorre, invece, grande serietà e coerenza da parte di tutti i soggetti in campo.
Fonte: L’Arena