Alessandro Corti
Il sorriso del Presidente della Repubblica davanti ai ministri del nuovo governo Conte, in fila per il giuramento di rito, esprime molto di più e meglio di tante parole il senso di sollievo delle istituzioni per l’epilogo della più grave e lunga crisi della storia repubblicana. Per due lunghissimi giorni ce la siamo vista brutta, soprattutto sui mercati, con lo spread che è tornato a volare a livelli insostenibili per le nostre finanze pubbliche mentre la Borsa crollava vistosamente, trascinata dai titoli bancari. Ma non basta: ad un certo punto la crisi ha rischiato di trasformarsi anche in terremoto istituzionale, con uno scontro fra poteri dello Stato che rischiava di avere effetti a catena sulle fondamenta dello stato democratico. Mentre l’ipotesi di una consultazione elettorale ravvicinata che si sarebbe inevitabilmente trasformata in un referendum pro o contro l’euro, aveva impaurito i mercati di mezzo mondo. Se c’è una cosa che le piazze finanziarie proprio non sopportano è l’incertezza.
Il nuovo governo segna sicuramente un punto a favore del nostro Paese. Un segnale forte, prontamente recepito dai mercati: lo spread è tornato a livelli più o meno normali (230 punti base) mentre la Borsa ha ripreso a macinare guadagni. La nascita di un nuovo esecutivo “politico” e non “tecnico” ha rassicurato anche Bruxelles e le cancellerie internazionali. Il presidente della Commissione Ue, Junker, dopo la gaffe del giorno prima sugli italiani “sfaticati e corrotti”, è tornato sui suoi passi e si è detto disponibile a collaborare con Roma sul terreno delle riforme. Perfino la Merkel ha salutato positivamente la nascita dell’esecutivo giallo-verde e fra i primi leader a complimentarsi c’è stato il presidente russo, Putin. Un’accoglienza, insomma, che ha tutto l’aspetto di un’apertura di credito. Toccherà ora al premier Giuseppe Conte e al tandem Salvini-Di Maio non disperdere questo piccolo patrimonio di credibilità e affidabilità conquistato sui mercati. Un tesoretto accumulato grazie anche alla difficile opera di mediazione del Quirinale e ai paletti per il governo sui quali Mattarella ha più insistito. A cominciare, ovviamente, dalla permanenza dell’Italia nell’Unione europea e dalla difesa della moneta unica. Non sarà facile conciliare le promesse elettorali e il Contratto per il cambiamento firmato dai due partiti vincitori con i vincoli di bilancio e il sentiero stretto dei conti pubblici di un Paese che ha un debito mostruoso, il secondo per dimensione fra i paesi occidentali. Ma, prima ancora che Bruxelles con le sue regole e i suoi parametri, saranno i mercati a non farci sconti e a ricordarci, quotidianamente, che ci muoviamo nel poco invidiato limbo dei “sorvegliati speciali”. Basta una mossa sbagliata o una norma di bilancio in deficit per farci di nuovo ripiombare nel girone infernale dello spread.