Siamo la Debt Generation, quelli che hanno dovuto cominciare a restituire i soldi. Siamo quelli a cui hanno lasciato in eredità la bancarotta. Questa è la tesi che si può leggere nel libro di Francesco Vecchi, «I figli del debito. Come i nostri padri ci hanno rubato il futuro», pubblicato da Piemme (2019). Attenzione non è una tesi stravagante, una invenzione giornalistica, si basa sui numeri, sulle statistiche.
Vecchi sostiene che il debito pubblico incrementato dai nostri padri (si riferisce a noi), dovrà essere pagato da loro che sono nati nell’82-83.
Certo quella di Vecchi è una tesi politicamente scorretta, una denuncia che fa molto male. Il libro probabilmente ha avuto poca risonanza, però merita molta attenzione. Anche perchè è stato scritto prima della pandemia, figuriamoci come sarà il debito pubblico dopo i continui “ristori”, pagati dai governi Conte e Draghi.
Il 1992 è stato l’anno dello spartiacque, che divide le due generazioni. I nodi sono arrivati al pettine.
«La tesi fondamentale di queste pagine è che fino a quella data lo Stato ha speso come se non ci fosse un domani, la politica a caccia di consenso ha aiutato tutti quanti […]Fino al 1992 – scrive Vecchi – chi ha lavorato ha goduto di una ‘mano invisibile’ […] Dopo il 1992 è stato il contrario».
Pertanto secondo il conduttore televisivo di Canale 5, «Noi siamo quelli che hanno dovuto cominciare a restituire i soldi» e questo sta capitando da ventisette anni, (ora ventinove) praticamente, una generazione. Peraltro in Europa, secondo Vecchi, «non esiste nessun altro grande Paese che abbia chiesto alla sua ultima generazione uno sforzo finanziario pari a quello che è stato chiesto agli italiani […]».
Per Vecchi non occorre essere laureati in economia per capire il malessere, malcontento e frustrazione che caratterizza la sua generazione. Il giornalista insiste, «da ventisette anni paghiamo il debito che ci hanno lasciato in eredità».Vecchi non dà la colpa soltanto ai politici, chi arriva al governo si trova di fronte a questa bestia famelica e silenziosa e può fare poco. E così è costretta a lavorare per il debito e sono anni che serviamo questa “bestia”. Chi governa ha le mani legate, può fare poco: se abbassi le tasse, il debito cresce. «Tutto quello che puoi fare in Italia è molto semplice: cercare di non fare danni peggiori». Sostanzialmente per Vecchi, «in Italia non c’è margine per nessuna politica economica. Tolte le spese per la sanità, tolte le spese per le pensioni e tolti gli interessi sul debito, ai governi non resta nulla».
Nel 2011 con il governo Monti si pensava di sconfiggere il tiranno (il debito), invece sotto gli occhi lacrimanti della Fornero, il debito pubblico non ha fatto altro che crescere. «Sarebbe stato necessario – scrive Vecchi – incidere nella pancia degli sprechi, nel fondo dei diritti inviolabili e acquisiti, nel corpaccione della spesa pubblica. Non è stato fatto. La ricetta dell’austerity in Italia ha portato più tasse e ha fallito».
Siamo in una trappola diabolica, qualsiasi cosa fai, la bestia cresce sempre.Vecchi è convinto che non è stata l’Europa che ci ha tolto la sovranità. «So benissimo che ce la siamo tolti da soli. Che ce l’ha tolta chi, all’epoca di mio padre, si è giocato la mia libertà per conquistarsi il suo voto. Chi ha regalato pensioni ai quarantenni o chi ha assunto le guardie forestali come se dovessimo gestire l’Amazzonia. Non è colpa di chi ci ha prestato i soldi, se ora li rivuole».
La colpa del debito non è dei giovani (che intanto stanno diventando vecchi), «non è colpa di chi è dovuto andare all’estero per cercare uno stipendio decente. Non è di chi lavora con contratti rinnovabili di sei mesi in sei mesi. Non è di chi oggi non ha nulla da portare in banca per farsi aprire un mutuo».
Addirittura secondo il giornalista di mediaset, abbiamo la probabilità di fallire al 25% per i prossimi cinque anni. E ora dopo la pandemia, la probabilità quanto sale?
Il libro di Vecchi è fatto anche di tabelle e tabelline, del resto si è laureato alla Bocconi in Discipline Economiche e Sociali.
Il testo riporta alcuni esempi di persone che hanno usufruito di privilegi e altri che hanno subito nefandi scandali. Al capitolo 4° c’è l’esempio di quella signora che è andata in pensione a 46 anni e adesso che ha 77, ha vissuto più anni in pensione più di quanti ne ha lavorati. Bisogna chiedersi come può reggersi un Paese se dal 1973 fino ai primi anni ’90 ha consentito ai suoi cittadini di andare in pensione anche a 38 anni. Alla stagione dei diritti, non è mai seguita una stagione dei doveri. I baby pensionati sono uno scandalo che nel tempo è costato 200 miliardi.
Al capitolo 6° Vecchi presenta esperienze di giovani sfruttati come Federica che lavora alla Biblioteca Nazionale Centrale, costretta a raccattare scontrini fiscali, perchè possa avere un rimborso spese fino a 400 euro. Tra l’altro Federica risulta volontaria e quando viene licenziata, non comprende come hanno fatto visto che non ha neanche un contratto.
In pratica dopo «l’orgia di assunzioni negli anni ’70 e ’80, il famoso posto fisso statale è una strada preclusa». Anche se per la verità ancora si riesce ad entrare nei comparti delle forze dell’ordine e della scuola. Non so ora dopo la pandemia come finisce. Tuttavia Vecchi sostiene che la nostra pubblica amministrazione, la più anziana in Europa, avrebbe tanto bisogno dell’energia e della freschezza dei giovani.
I capitoli 7 e 8 (Vi abbiamo fatto studiare) raccontano storie di ragazzi e ragazze fuggite all’estero. Vecchi ha fatto l’esperienza di incontrare tanti giovani laureati nelle più disparate università che si trovano a lavorare come commesse a Londra. Del resto è la stessa esperienza che ho fatto girando per le strade di Glasgow e di Edimburgo in Scozia.
Con 350.000 di italiani che vivono a Londra è l’ottava città italiana. In Italia troviamo piccoli centri spopolati, i giovani del Sud, ma anche del Nord fuggono se ne vanno all’estero. Dal 2008 ad oggi partono a un ritmo di 120.000 italiani all’anno. Un terzo di loro è fornito di laurea. Negli ultimi dieci anni, con tutti questi emigrati secondo Vecchi, si potrebbe fare una città simbolica di un milione e trecentomila abitanti, che potremmo chiamare “Belritorno”. «Non solo sarebbe più grande di Milano, ma sarebbe anche molto più ricca, più vivace e più acculturata. Se pensiamo che Milano sia la città più dinamica del Paese, ecco: ce ne siamo lasciati scappare una ancora migliore».
Ma chi ha pagato per far studiare sei anni Paolo o Gennaro? Due amici di Vecchi. «Per formare questi ragazzi lo sforzo è stato collettivo, e anche grande. Ogni laureato ci costa come una Ferrari: circa 200.000 euro. Ogni diplomato la metà, ma sempre 100.000 euro, pagati con le tasse di tutti».
Se ne va il frutto del nostro investimento, a raccoglierlo saranno altri.
Su questo “genocidio culturale”, cosa di cono i politici? Nel 2016, l’allora ministro del Lavoro Giuliano Poletti, se ne uscì con una frase a dir poco, infelice: «Alcuni di loro è anche meglio non averli tra i piedi».
Il libro di Vecchi affronta l’annosa questione delle specializzazioni dei nostri giovani, abbiamo laureati che stanno a casa e imprese che cercano persone, ma non hanno il profilo giusto. Giulia che ha studiato Scienze pedagogiche, si sente dire: «certo che se hai studiato Scienza delle merendine, ora non puoi venire a lamentarti». I problemi sono grandi, sembra che gli Istituti tecnici o professionali in Italia sono stati declassati. E poi i centri per l’impiego che fine hanno fatto? Sono riusciti a trovare un impiego ad appena il 3% delle persone. Ma forse sono serviti soltanto a quei 8.000 cinquantenni che ci lavorano.
La questione pensionati viene affrontata al 9° capitolo. Anche qui ci sono privilegiati e altri no. Vecchi affronta la questione degli squilibri pensionistici, l’assegno contributivo e quello figurativo. Pensioni inique che possono apparire come furti, mentre altre pensioni che non bastano per vivere e la gente è costretta ad arrivare a gesti estremi come il furto nei supermercati.
Al 10° capitolo, c’è l’intervista alla signora degli anelli, una breve scheda sulla Elsa Fornero e la sua riforma. Ad essere sincero dopo aver letto le pagine del libro di Vecchi, un po’ ho modificato i miei pregiudizi in merito al tentativo della professoressa torinese di “salvare” il nostro sistema pensionistico.
Il libro di Vecchi affronta anche la questione demografica; la forte denatalità in Italia è il problema dei problemi. L’invecchiamento del Paese è una tragedia. Si potevano investire tutti quei soldi messi per altri settori, per far ripartire le nascite.
Vecchi per fotografare l’attuale situazione giovanile, intervista anche uno psichiatra, Raffaele Morelli, che fa una descrizione abbastanza severa: «Abbiamo creato una generazione che non ha futuro. Anzi, che non lo vede, che non lo sogna più: è la cosa peggiore che possa accadere. Un’anima che non ha niente in cui credere, prima o poi si ammala. E’ inevitabile. Sulla sua strada c’è l’alcol, la depressione, ci sono solo psicofarmaci». Stiamo esagerando?