renzi camusso

Antonio Troise

Matteo Renzi  lo ha detto subito, fin da quando ha messo piede per la prima volta, a Palazzo Chigi e ieri lo ha ribadito dagli schermi del Tg1: “Mi interessa il consenso delle famiglie e non quello di Confindustria e sindacati”. E poi, la frase che ormai diventata quasi un ritornello: “Non sono d’accordo? Me ne farò una ragione…”.Un taglio netto con la lunga stagione della concertazione che, nel bene e nel male, ha segnato la vita del Paese fin dal dopoguerra, toccando l’apice con il grande patto sul costo del lavoro firmato da Ciampi all’inizio degli anni Novanta. Sembra passato un secolo. All’epoca il patto sociale era una strada obbligata per stemperare tensioni, superare la crisi e far digerire pesanti sacrifici in un paese arrivato ad un passo dal baratro e che si apprestava a vivere la rivoluzione di Tangentopoli. A distanza di vent’anni, quel sistema mostra tutte le sue crepe. A nulla sono valsi i tentativi di rimetterlo in piedi: gli svariati patti sociali firmati, volta per volta e da diverse esecutivi, a Palazzo Chigi, sono sempre rimasti lettera morta. E il potere di veto esercitato da questo o quel sindacato ha finito per condizionare e, in ogni caso, frenare il cammino delle riforme.

Oggi, di fronte alla più grave crisi economica del dopoguerra e con un paese ormai stremato, gli spazi di manovra della vecchia concertazione sono terminati. Perfino il potere di rappresentanza delle parti sociali si è deteriorato.  Sarebbe tuttavia un errore liquidare frettolosamente il ruolo e la funzione, economica e sociale, che sindacati e Confindustria hanno svolto (e continuano a svolgere) nel Paese.

Per molto tempo sono stati in grado di mediare fra i diversi interessi in campo, attenuare le tensioni sociali e presentare proposte concrete per lo sviluppo, supplendo anche alla politica quando è andata in crisi. Ora, però, lo scenario è completamente diverso, la crisi ha rimescolato tutte le carte ed ha fatto emergere nuovi protagonisti, dal fenomeno Grillo al cosiddetto popolo dei Forconi.

Il pericolo, ovviamente, è che cancellando con un colpo di spugna tutte le parti sociali, l’esecutivo possa essere portato a imboccare derive populistiche, senza cercare mediazioni “alte” fra tutte le forze in campo che privilegino gli interessi generali. Ma anche per Confindustria e sindacati deve cominciare una stagione nuova, dove ognuno deve fare la sua parte, evitando sovrapposizioni e confusioni di ruolo e, soprattutto, superando una volta per tutte la logica dei veti incrociati. Un Paese che vuole davvero rimettersi in moto  ha bisogno del contributo di tutti. Ma anche di un governo che ascolta tutti ma poi decide. Assumendosene tutte le responsabilità.

 

Fonte: L’Arena