Era entrato nel dizionario di tutti i giorni, diventato l’incubo dei risparmiatori, lo spettro capace di far cadere un governo o di portare il paese sulla strada della bancarotta. Insomma, lo Spread (la differenza fra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi), che appena 24 mesi fa oscillava fra i 550 e i 600 punti base avvicinando pericolosamente l’Italia alla soglia del default, ora non fa più paura. L’ultima fotografia scattata ieri inchiodava la differenza dei rendimenti a quota 200 punti, la soglia minima dal luglio del 2011, prima che l’Italia entrasse nel mirino della speculazione internazionale. Una notizia che premia il cammino virtuoso imboccato dall’Italia, sul fronte dei conti pubblici, da due anni a questa parte e che è costato agli italiani un occhio della testa in termini di aumento della pressione fiscale. I benefici, però, sono innegabili: fra i 5 e i 7 miliardi di minori spese per interessi sul debito pubblico, recupero della credibilità internazionale, più risorse da destinare a imprese e famiglie, difesa del risparmio. Obiettivi raggiunti soprattutto grazie alla maggiore stabilità del quadro politico dopo gli scossoni dell’era Berlusconi.
Ma sarebbe un grave errore, oggi, abbassare la guardia. Lo Spread, tanto per cominciare, è solo uno degli indicatori che misurano lo stato di salute di un Paese, ed è soggetto più agli umori dei mercati finanziari che della situazione della cosiddetta economia reale. Sotto la cenere, come ha giustamente avvertito il presidente Giorgio Napolitano nel suo discorso di fine anno, covano ancora molti rischi. Un dato per tutti: proprio mentre i mercati brindavano per il mini-spread dell’Italia la Bce faceva suonare più di un allarme per il calo storico dei prestiti alle imprese: un crollo di quasi il 6% che non si era mai registrato in precedenza. Segno, evidente, della crisi del sistema del credito. Anche sui versante dei conti pubblici la tregua potrebbe risultare molto più fragile rispetto alla situazione reale. E’ vero che l’impennata dal fabbisogno 2013 di circa 30 miliardi è dovuta a partite straordinarie (come la restituzione dei crediti della pubblica amministrazione o i bond per il Monte Paschi di Siena). Ma al netto di queste operazioni il miglioramento del è di 1 miliardo contro i 10 dello scorso anno. E, in ogni caso, la pressione fiscale, nonostante il calo registrato per la prima volta nel 2013, resta a livelli record, mentre la ripresa economica, che altrove segnala un ritmo più veloce, da noi continua ad arrancare a colpi di decimali.
E’ vero, insomma, che l’Italia ha recuperato, negli ultimi due anni, lo spread dei titoli di Stato e quello della fiducia. Ma ora bisogna abbattere altri due spread non meno importanti: quello della crescita e dell’occupazione. E’ ora che anche il paese reale cominci ad incassare qualche “dividendo” dei due anni di sacrifici appena conclusi.
IL COMMENTO. Se lo spread fa meno paura….
Alessandro Corti