Alessandro Corti
E’ fatta. Il governo Conte incassa la doppia fiducia e diventa pienamente operativo. Eppure, non si
può certo dire che sia stata una partenza con il vento in poppa, soprattutto sul fronte delle tasse, uno
dei “cavalli di battaglia” della campagna elettorale. Martedì la doccia fredda dell’annuncio della flat
tax in due tempi, prima per le imprese e poi per le famiglie. Ieri, le polemiche innescate dal leader
della Lega e ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha spiegato una cosa molto semplice: il
nuovo sistema fiscale “farà risparmiare di più chi fattura di più e chi paga più tasse”. In sostanza, i
più ricchi. Parole che hanno subito sollevato un’ondata critiche e spinto le opposizioni a sparare ad
alzo zero. La situazione, però, è un tantino meno semplice. E andrebbe, per lo meno, articolata
meglio. In primo luogo, la flat tax piace non solo alla destra ma anche ai “liberal” della sinistra che
da tempo chiedono un forte taglio delle tasse per rilanciare investimenti e crescita. Da questo punto
di vista, le due aliquote, al 15 e al 20% messe nero su bianco nel contratto del governo giallo-verde
dovrebbero far risparmiare agli italiani almeno 40 miliardi di euro di tasse. Una bella svolta per un
Paese che continua ad avere una delle pressioni fiscale a livelli record.
Fin qui tutto bene. I problemi sul tappeto, però, sono essenzialmente due. Primo: in che modo
trasformare la riduzione delle tasse in crescita del Pil. Secondo: come evitare che la flat tax si
trasformi in nuovo debito e, quindi, in un ulteriore freno alla crescita del Paese.
Partiamo da un dato: se gli italiani hanno più soldi in busta e se le imprese versano meno risorse
all’erario, ci sarà sicuramente più spazio sia per alimentare i consumi sia per creare nuovi posti di
lavoro. Bisogna, naturalmente, fare in modo che ciò avvenga senza creare nuovi meccanismi
distorsivi. Giusto per fare un esempio, si potrebbero prevedere incentivi fiscali ad hoc per le
imprese che decidono di reinvestire gli utili generati dall’arrivo della flat tax. Il problema, insomma,
non è quello di dare di più a chi è già ricco ma di creare più ricchezza per tutti. Negli ultimi anni,
infatti, il Paese si è fortemente impoverito. Il taglio delle tasse potrebbe non solo creare nuovi spazi
per rilanciare i consumi ma anche spingere fortemente sulla crescita e quindi sul reddito procapite.
Per fare tutto questo, però, è anche necessario agire nel rispetto dei vincoli del bilancio pubblico e
del patto di stabilità. Pensare di trovare i 40 miliardi di euro necessari per finanziare la flat tax
facendo crescere il deficit rischia di essere un vero e proprio boomerang. Perché, in questa maniera,
si continuerebbe a far lievitare il debito pubblico che rappresenta sicuramente l’ostacolo più alto
sulla strada di una ripresa forte e strutturale. Da questo punto di vista, il governo Conte ha da oggi
una missione in più: dimostrare con i fatti (e non solo con le parole) che il cambiamento non è uno
slogan elettorale ma un pacchetto di misure tenute insieme dal senso di responsabilità e da una
effettiva sostenibilità economica e sociale.