Antonio Troise

È almeno dai tempi di Tangentopoli che l’Italia cerca una terza via per superare il conflitto fra la
magistratura e la politica. Una guerra ultraquarantennale fra pezzi importanti e fondamentali dello Stato,
che si è combattuta non solo nelle aule parlamentari ma anche, e soprattutto, nell’opinione pubblica. Un
copione che si è ripetuto senza grandi variazioni negli ultimi anni, indipendentemente dal colore politico del
governo di turno. Così, ora che l’esecutivo guidato da Meloni ha posto in cima all’agenda delle riforme da
fare proprio quella della giustizia, con la legge sulla separazione delle carriere dei magistrati, lo scontro è
tornato a riaccendersi. Con un’ulteriore variabile mediatica: l’offensiva al calor bianco della figlia di
Berlusconi, Marina, contro l’inchiesta sul Cavaliere, targata “Report”, che ha suscitato una valanga di
polemiche, soprattutto sul fronte della maggioranza.
Ma non basta. A infuocare il fronte giudiziario c’è stato, ieri, anche il preannuncio dell’Anm, l’Associazione
Nazionale Magistrati, contro la riforma fortemente voluta dal ministro della Giustizia, Nordio, con tanto di
iniziative clamorose durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Una protesta che, probabilmente,
potrebbe sfociare anche in una richiesta di referendum abrogativo della legge. Nel mirino dei togati, inoltre,
è finita l’app per il processo penale telematico, che continuerebbe a funzionare a singhiozzo, oltre alla
norma che punta a vietare la pubblicazione del testo esatto delle ordinanze di custodia cautelare. Uno
scontro infinito in cui è obiettivamente difficile trovare il bandolo della matassa e che affonda le sue radici
in un conflitto in cui, di fatto, è in gioco la supremazia di due poteri che, secondo la Costituzione, devono
restare separati e indipendenti. Certo, la legge sulla separazione delle carriere non fa altro che fotografare
una situazione che, di fatto, i giudici hanno già cominciato ad applicare, autoregolamentando i profili delle
carriere.
È evidente che sono molti i capitoli del nostro sistema giudiziario che necessitano, da tempo, di una
manutenzione straordinaria, e non solo dal punto di vista della giustizia penale. Basta dare un’occhiata allo
stato della giustizia civile che, con i suoi tempi infiniti, costituisce una delle anomalie del sistema Italia,
anche dal punto di vista economico. Il problema, insomma, è quello di riannodare il filo della trattativa,
evitando le barricate “pregiudiziali” che possono esistere sia da una parte sia dall’altra, e arrivare a una
riforma effettivamente condivisa. Un segno positivo, da questo punto di vista, potrebbe essere lo sblocco
dello stallo nell’elezione dei quattro giudici della Consulta. Oggi potrebbe essere la volta buona per
reintegrare la Suprema Corte e, quindi, evitare l’ennesimo vulnus della politica sul fronte della giustizia.
Sarebbe un bel segno anche nei confronti del Quirinale, che ha più volte chiesto ai partiti di “sanare” una
situazione ormai insostenibile.