Antonio Troise
Salvini e Di Maio hanno già spiegato, con un pizzico di orgoglio, che con il contratto “giallo-verde” di governo, stanno scrivendo la storia del Paese. Fra i tanti capitoli messi nero su bianco nel documento c’è anche quello sulla Tav. Poche righe, certo, ma colme di quelle ambiguità sufficienti per accontentare il popolo della Lega che vorrebbe difendere il cantiere e i suoi tremila posti di lavoro (fra diretti e indiretti) e il Movimento Cinquestelle che invece, anche ieri, è tornato a sfilare in piazza per gridare no al progetto. Concetto molto diverso da quello scritto nel “contratto” dove si parla, genericamente, di una “ridiscussione” dell’opera, evitando accuratamente qualsiasi riferimento al suo blocco.
Il problema, più che lessicale, è economico. L’eventuale retromarcia dell’Italia sulla linea ad alta velocità tra Torino e Lione, costerebbe al nostro Paese qualcosa come due miliardi di euro: la somma, cioè, di quello che abbiamo speso (anche per la progettazione) più le eventuali sanzioni da versare nelle casse dell’imprese che hanno vinto gli appalti. A questo occorre aggiungere anche il contributo che arriva da Bruxelles: fondi che si attestano sui due miliardi di euro e che, tutto sommato, sono sempre tirati fuori dalle nostre tasche dal momento che siamo contribuenti netti dell’Unione: versiamo nelle casse dell’Europa più soldi di quanti ne portiamo a casa tra fondi strutturali e contributi all’agricoltura.
C’è poi un’altra questione da non sottovalutare. La Tav potrà anche essere stata immaginata trent’anni fa, come sostiene Di Maio. Ma si inserisce in una complessa operazione infrastrutturale che ha l’obiettivo di accorciare il Vecchio Continente creando una rete di trasporti da Nord a Sud e da Est a Ovest davvero efficiente e moderna.
Non ci si può, insomma, limitarsi a dire no alla Tav. Occorrerebbe guardare un po’ più avanti e proporre ricette alternative, proposte concrete, strategia di sviluppo. Proprio le cose sulle quali, ad esempio, ha puntato l’indice il presidente di Confindustria, Enzo Boccia, dopo aver letto il “contratto” Salvini-Di Maio.
Il rischio, in sostanza, è di non intercettare quelle traiettorie di sviluppo sulle quali sono pronti a inserirsi gli altri Paesi del Vecchio Continente per accelerare la crescita ed evitare di imboccare sentieri di declino. E questo anche al netto dei nostri rapporti con Bruxelles, degli impegni che abbiamo assunto e dei miliardi che rischiamo di perdere. Se davvero si vuole bloccare l’alta velocità fra Torino e Lione si devono presentare progetti alternativi e, soprattutto, economicamente sostenibili. Altrimenti corriamo davvero il rischio di far fare all’intero Paese un brusco salto all’indietro. E perfino ad “alta velocità”.
Fonte l’Arena