Alessandro Corti
Se non fosse per qualche scarno e cauto commento, la pratica del Def, il Documento di Economia e Finanza, licenziato ieri dal governo, sarebbe stata archiviata in silenzio e quasi senza battere colpo. Del resto, questa volta, al ministero dell’Economia si sono limitati a mettere nero su bianco la situazione esistente, un lavoro quasi da notaio. Nulla a che vedere con gli sforzi “politici” degli ultimi Def che, non a caso, erano accompagnati da discussioni e polemiche a non finire. Eppure, il documento chiave della politica economica del governo, contiene due notizie che sarebbe sbagliato sottovalutare. La prima riguarda la crescita dell’economia, che l’anno prossimo potrebbe subire un rallentamento a causa delle tensioni geopolitiche internazionali. Una doccia gelata per chi già pensava di essere finalmente uscito dal tunnel della recessione e di poter recuperare il terreno perduto negli anni della grande crisi. Ma la seconda notizia, forse ancora più grave della prima, è che senza correttivi, dal primo gennaio del 2019 scatterà il famigerato aumento dell’Iva previsto dalle cosiddette “clausole di salvaguardia”. Una vera e propria batosta per i consumi e, quindi, per la ripresa dell’Azienda Italia.
Certo, nessuno poteva chiedere a Gentiloni, in carica solo per l’ordinaria amministrazione, di decidere come e con quali risorse bloccare l’aumento delle tasse. Un’operazione da circa 15 miliardi di euro che dovrà trovare le adeguate coperture nella prossima legge di bilancio. Intanto, però, il Def sarà esaminato a Bruxelles e, di fatto, i saldi in esso contenuti dovranno essere rispettati anche dal prossimo esecutivo, qualunque sia il suo colore politico.
Il tema sul tappeto non è solo quelle delle possibili sanzioni europee nel caso in cui l’Italia non rispettasse gli impegni presi. La vera questione che il Def “dimezzato” approvato ieri dal governo lascia aperta è quella della credibilità del Paese. Con un debito pubblico così elevato e con una ripresa economica che risulta inferiore alle attese, l’Italia rischia di nuovo di tornare ad essere la “sorvegliata speciale” del Vecchio continente, rientrando nel mirino della grande speculazione finanziaria. Un’ipotesi resa ancora più realistica dalla graduale riduzione della “liquidità” che la Bce guidata da Mario Draghi ha assicurato in tutti questi anni e che ha consentito di tenere bassi i tassi di interesse sui titoli pubblici. Ora la situazione potrebbe cambiare molto rapidamente, creando non pochi problemi ai paesi più indebitati.
Da questo punto di vista, il Def approvato ieri non fa altro che rimandare i problemi. Ma, proprio per questo, rende ancora più evidente l’esigenza di risolvere in tempi rapidi la crisi e dare un nuovo governo al Paese. Perché mai come questa volta sarebbe estremamente rischioso, per l’economia, attendere i tempi della politica.
Fonte: L’Arena