Antonio Troise
Nessuna telecamera potrà mai fermare il bullismo. Anzi, per certi versi, potrebbe addirittura amplificarlo. Basterebbe chiedersi, ad esempio, se sono stati più violenti i ragazzi che hanno “bullizzato” il professore nella sua aula o quelli che hanno registrato e postato le immagini sui social network trasformando, il tutto, in un video virale, ad uso e consumo della pseudo-informazione 2.0. Insomma, è davvero difficile pensare di poter risolvere il problema piazzando qualche impianto di videosorveglianza per registrare tutto quello che avviene nelle nostre aule. E, attenzione: in discussione non c’è tanto il diritto alla privacy degli insegnanti e degli studenti, invocato da sindacalisti già sul piede di guerra. In discussione c’è, invece, da una parte il diritto dei nostri figli di studiare e di essere educati in un ambiente non violento e sicuro. E, dall’altra, il diritto degli insegnanti di svolgere il proprio lavoro senza finire nel tritacarne mediatico di qualche social network e nel mirino del “bullo” di turno.
Partiamo da un dato: questi fenomeni ci sono sempre stati nelle scuole, anche senza l’amplificatore mediatico degli ultimi episodi di cronaca. E, il bullismo non è solo un problema degli istituti di periferia ma anche di quelli più abbienti, frequentati dai cosiddetti ”figli di papà”. Da questo punto di vista, nessuna famiglia può dirsi davvero al sicuro. Ma sarebbe davvero semplicistico pensare di fermare il bullismo con qualche telecamera a circuito chiuso e intensificando il sistema dei controlli. Prima di tutto perché, con le ridotte finanze a disposizione dei nostri istituti, è davvero difficile immaginare scuole dotate di impianti di videosorveglianza effettivamente. Ma il vero limite è un altro. Pensare di delegare all’occhio elettronico di una telecamera compiti e responsabilità che sono propri di altri soggetti, a cominciare ovviamente dalle famiglie e dai docenti, non è altro che la presa d’atto di un divorzio fra genitori (e strutture scolastiche) incapaci di educare e di figli (e studenti) lasciati liberi di poter agire senza praticamente alcun freno.
In sostanza, invece di instaurare nei nostri istituti scolastici uno “stato di vigilanza permanente”, trasformando insegnanti e studenti in potenziali soggetti da guardare a vista, sarebbe più giusto agire sulla leva dell’educazione e della cultura. Magari spiegando in che modo ci si può difendere dal bullismo e, soprattutto, dal cyber-bullismo. E coinvolgendo docenti, genitori e studenti in percorsi formativi ed educativi che non si fermano alla semplice presa d’atto del fenomeno. E’ questa la strada da percorrere per prevenire il fenomeno evitando facili scorciatoie destinate, inevitabilmente, a finire nel nulla dopo aver occupato, per qualche giorno, le prime pagine dei giornali e qualche talk show televisivo.
Fonte: L’Arena